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il fotografo davanti al dramma

 
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Mach1
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MessaggioInviato: Gio 14 Gen, 2010 12:51 am    Oggetto: il fotografo davanti al dramma Rispondi con citazione

non sapevo bene come intitolare la discussione. Si tratta di una riflessione che ho cullato più volte, in vari momenti, e che oggi mi si è riproposta davanti a queste immagini:
http://www.boston.com/bigpicture/2010/01/earthquake_in_haiti.html
le immagini, come si può capire già dal link riguardano il dramma che ha colpiti Haiti. La riflessione è la seguente:

Partendo dal fatto che il lavoro che svolgono è doveroso e sacrosanto, da fotoamatore e appassionato mi domando con che spirito un fotografo riesca a lavorare quando si trova a dover affrontare il compito di documentare un dramma di tale portata. Ancora ancora posso capire un fotografo di guerra, che lavora appunto in uno scenario di guerra, scenario sul quale l'ombra della morte volteggia come un avvoltoio.
Ma quando ti trovi a dover documentare quello che fino a poco prima era un contesto normalissimo, magari anche povero ma sereno nella sua miseria e che nel giro di poche ore si tramuta nella più prossima approsimazione dell'inferno, quella che ti trovi a dovere affrontare dev'essere una situazione delicatissima. Con molta probabilità il fotografo è pure straniero, quindi si trova a dover documentare tutta quella morte, quella distruzione e cosa peggiore di tutte la disperazione e il dramma dei vivi che ti guardano negli occhi attraverso la lente, che magari ti chiedono aiuto e tu non li puoi aiutare perchè quello che stai facendo anche se pare assurdo è il tuo modo di aiutarli, o forse vuoi convincerti che sia così, persone che magari in quel momento ti odiano perchè ti vedono come uno sciacallo che banchetta sulle loro carni, e tu devi continuare a fotografarli, a documentare, a scattare, vivi quel dolore ma al contempo te ne tiri fuori, ne sei partecipe ma non ne sei coinvolto, non puoi aiutare perchè anche se sembra folle tu stai facendo la tua parte attraverso quelle foto e sai che da lì a un mese magari sarai nella tua comoda abitazione in italia o in u.s.a. o altrove e beffa delle beffe per quelle foto percepirai uno stipendio o dei premi in denaro che un haitiano forse non vede nemmeno in un anno.
Non li sto criticando, anzi forse li sto ammirando, mi domando solo come ci riescano.

Volevo solo conoscere le vostre riflessioni in merito e come sareste in grado di affrontare voi una situazione del genere.

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Mach1
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Iscritto: 12 Apr 2005
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MessaggioInviato: Gio 14 Gen, 2010 12:55 am    Oggetto: Rispondi con citazione

A tal proposito sarebbe interessante anche raccogliere testimonianze di fotografi che in prima persona abbiano vissuto situazioni del genere.

Di mio al momento ricordo la storia di Kevin Carter, l'autore di questo famosissimo scatto ( riporto solo il link per via della foto molto dura ):

fotografia che divenne famosa in tutto il mondo, un icona della carestia in sudan e che consentì al fotografo di vincere anche il premio Pulitzer. Lui si suicidò tre mesi dopo, c'è chi dice che fosse oppresso dai sensi di colpa generati da quello scatto, chi dice per altri motivi, la verità non la saprà probabilmente nessuno.[/img]

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Teo76
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MessaggioInviato: Gio 14 Gen, 2010 9:34 am    Oggetto: Rispondi con citazione

Pochi spunti, non ho risposte univoche:

- se non ci fossero state alcune foto dell'olocausto, avremmo creduto a quell'orrore? (Si può estendere a mille altre guerre, sciagure, etc.)

- possono certe foto dure, brutali smuovere la gente ad aiutare durante drammi come guerre, carestie, catastrofi naturali, etc?

- contando che ci stiamo assuefando al peggio, bisogna andarci sempre più pesanti e diretti?

In questa recensione di Magnum° ci sono altri spunti: http://www.photo4u.it/viewnews.php?t=339055

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MessaggioInviato: Dom 17 Gen, 2010 11:41 pm    Oggetto: Rispondi con citazione

Una decina di anni fa mi sono trovato in una situazione simile, in miniatura. Nulla di paragonabile al disastro di Haiti, o di qualsiasi altro evento di quella portata, stavo semplicemente eseguendo delle videoriprese di una competizione di deltaplani, quando uno di questi inaspettatamente è precipitato. In una frazione di secondo (quella che mi è costata l’aver perso l’impatto al suolo del deltaplano) ho dovuto fare i conti con questo dilemma. I soccorsi sono stati immediati, (ricordo vagamente di aver pensato che prima di tutto dovevo essere certo di questo fatto) e ho scelto razionalmente di continuare a riprendere. Non avrei potuto essere utile in nessun modo, tanto valeva facessi la mia parte fino in fondo, e l’ho fatto, in una specie di trance, finchè quasi un’ora più tardi l’elicottero del soccorso non si è allontanato con il poveraccio a bordo. In quei surreali momenti non ero più me stesso, ero solo una telecamera, un occhio senza coscienza che aveva il privilegio e l’onere insieme, di poter raccontare a chi non c’era, o al malcapitato stesso, (quando e se avrebbe potuto) com’era andata. Ricordo sempre confusamente di aver cercato di dare il meglio di me stesso per dire il più possibile con l’inquadratura, con una ripresa ferma, con la scelta del punto di ripresa, avendo come priorità però quella di non intralciare, e ricordo il mio stupore nel vedere che i soccorritori, sicuramente più avvezzi di me a quel tipo di eventi, non cercavano di allontanarmi, anzi, mi “accoglievano” con i loro gesti nel loro gruppo. Non mi sono sentito uno sciacallo, non mi sono sentito senza sentimenti o scrupoli, non mi sono pentito di aver agito in quel modo, soprattutto dopo che mi hanno raccontato di quando (parecchi giorni più tardi) lo sfortunato deltaplanista, in lacrime, ha visto le riprese. E’ stata un’esperienza terribile, che ricordo però con affetto.
Non so dire se per i fotoreporter che hanno a che fare con drammi umani anche ben peggiori li vivano allo stesso modo, suppongo di si… il lato economico è un’altra cosa. Suppongo che come per ogni lavoro, sia il tuo lavoro e basta, lo fai, cerchi di farlo al meglio, anche se come per ogni lavoro ci devi essere tagliato, e quando la situazione lo richiede scatta quella “trance” per cui diventi semplicemente “gli occhi del resto del mondo”, e arrivi a sentirti un privilegiato per questo.
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