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Tribunali del Perdono in Sudafrica

 
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Teo76
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MessaggioInviato: Dom 09 Nov, 2008 12:26 pm    Oggetto: Tribunali del Perdono in Sudafrica Rispondi con citazione

Quanti sanno cosa sono i Tribunali del Perdono che sono stati istituiti in Sudafrica dopo l'apartheid?
Io non ne sapevo nulla (MEA CULPA!!! Trattieniti ) prima di leggere questo articolo sul blog di Jacopo Fo ( http://www.jacopofo.com/obama-neri-storia-censurata-matriarcato-tribunali-perdono ).

Buona lettura e buona riflessione.


Sud Africa: i tribunali del perdono.
Quando il regime razzista cadde Nelson Mandela capi' che doveva porre ai suoi connazionali una grande e difficile domanda. Una domanda impossibile da porre a un popolo occidentale. Incomprensibile addirittura per i nostri schemi mentali. Egli chiese: cosa dobbiamo fare a chi ci ha torturato, ucciso, tenuto in catene, umiliato? Cosa facciamo a chi ha ucciso i nostri padri, violentato le nostri madri, le nostre mogli, le nostre figlie? Cosa facciamo a quei cani che ci hanno azzannato per tutta la vita? Siamo proprio sicuri che valga la pena di ucciderli, tenerli in prigione, punirli? Fu cosi' che inizio' una grande discussione. Nessuno metteva in dubbio che un ladro o un assassino dovessero essere messi in prigione per impedir loro di compiere un altro reato e perche' venissero sottoposti a un percorso di rieducazione. Ma nel caso dei carnefici e dei loro mandanti che avevano torturato il popolo per decenni sembro' che non si potesse usare la stessa logica punitiva. Il crimine era troppo immenso perche' potesse essere punito. Quindi dopo moltissime discussioni si decise di non punire i colpevoli delle piu' tremende e barbariche violenze compiute in Sudafrica. Non sono impazzito. E' cosi' che e' andata. E hanno fatto bene. Questi neri hanno ancora una forte componente dell'antica cultura matriarcale che riconosce al suo centro, come fulcro, l'idea del valore spirituale dell'esperienza e l'interconnessione stretta tra tutti i fenomeni. E questa cultura porta piu' facilmente a identificarsi nelle vittime per comprendere quale e' la loro esigenza piu' forte e profonda. Se hai subito l'abominio, una semplice vendetta non e' soddisfacente. Non cambia l'orrore che hai vissuto, le stigmate dell'umiliazione il tormento dei ricordi e dei rimpianti. Anche se ammazzi il tuo torturatore e lo fai morire in modo lento e doloroso, la tua percezione dell'orrore vissuto non cambia. Nella cultura bantu' esiste un concetto che ha un valore maggiore della vendetta: la consolazione della vittima. Cosi' essi si chiesero che cosa potesse veramente modificare lo stato mentale delle vittime. Riscattare almeno in parte l'ingiustizia subita. E dissero: rinunciamo alla vendetta perche' l'unico medicamento che da' sollievo al dolore delle vittime e' la comprensione. Il dolore viene arginato solo dalla sua condivisione collettiva. Quando il torturato torna nel villaggio e racconta di aver subito 100 frustate anche i suoi amici si chiedono se, magari, non stia esagerando un po'. Non mettono in dubbio che sia stato frustato ma si chiedono se le frustate siano state proprio 100 oppure "solo" 70... Il torturato invece desidera innanzitutto di essere creduto totalmente, che la misura del suo dolore sia riconosciuta. Questa e' l'unica possibile, piccola consolazione. E allora il governo dei neri inventa un istituto legale incredibile: i Tribunali del Perdono. Per anni sono andati avanti a tenere udienze in questi tribunali speciali. Le vittime si presentano e raccontano tutto quello che hanno patito e fanno i nomi dei loro carnefici. I quali sono obbligati a presentarsi e a confessare raccontando per filo e per segno quali crimini hanno commesso e come. Se ammettono le colpe non vengono puniti in nessun modo. Cosi' si ottiene che nessuno possa negare la verita' di quei fatti. Non esistera' mai nessuno in Sudafrica che potra' mettere in dubbio la misura dei crimini commessi perche' vittime e carnefici hanno testimoniato, le loro dichiarazioni sono state filmate e trasmesse in televisione. Ci sono voluti anni per elencare, descrivere e comprovare l'enorme mole dei crimini commessi. Oggi c'e' chi nega i crimini nazisti, stalinisti, di Pinochet, dei colonnelli greci o argentini. Questa situazione e' legata proprio al tentativo di punire in modo vendicativo i colpevoli. Un procedimento che genera automaticamente una difesa che cerca di negare le colpe. E questa negazione degli orrori del passato, restando piu' o meno latente, semina odi e rancori inestinguibili. Ma attenzione, non si tratta di rinunciare all'azione ma di sostituire l'azione della vendetta con quella della presa di coscienza degli orrori. Di fronte agli orrori non si puo' non reagire. In Jugoslavia, durante la seconda guerra mondiale il regime filonazista croato realizzo' lo sterminio di piu' di un milione di serbi. Questo crimine fu censurato da Tito in nome della riconciliazione nazionale. Non affrontare il bagaglio di dolore di un simile genocidio ha avuto effetti piu' devastanti dell'affrontarlo con lo spirito di vendetta. Dopo qualche decennio il bubbone e' scoppiato. I giornalisti che intervistavano i combattenti serbi della guerra etnica si stupivano di sentir sommare i morti delle persecuzioni degli anni '40 insieme a quelli degli anni '90. Per molti serbi la guerra non era mai finita, era restata solamente congelata per 50 anni.

Ancora a proposito dei Tribunali del Perdono
http://www.atma-o-jibon.org/italiano4/rit_marotta1.htm
Parla Nelson Mandela

L’ex presidente fa il punto sulla rinascita del suo Paese dopo l’apartheid, e sulle attivita' della “Commissione verita' e riconciliazione”.

Sudafrica, guarire e' possibile
“Oggi le famiglie delle vittime sanno quello che e' successo ai propri cari: la pena di morte e' stata usata come pretesto per assassinare i neri”.
Maria De Falco Marotta (“Avvenire”, 31/7/07)
Nelson Mandela e' una delle guide morali e politiche piu' grandi del nostro tempo: un eroe internazionale, la cui lunga vita e' stata dedicata alla lotta contro l'oppressione razziale, lotta che gli ha fatto meritare il premio Nobel per la pace nel 1993 e poi, l'anno dopo, la presidenza del suo Paese come primo presidente dopo l'apartheid. E' riverito dappertutto come forza vitale nella lotta per i diritti dell'uomo e l'uguaglianza razziale. Dicono, inoltre, che il sorriso di Mandela sia il piu' famoso del mondo. E si capisce perche': da un uomo che e' stato in prigione per quasi trent'anni in nome dei diritti umani dei suoi compatrioti; che parla senza reticenze delle stragi dell'Aids nel suo Sudafrica, che da' il suo numero di ex detenuto a "Robben Island", il 46664, al “cd” del concerto tenuto al “Greenpoint Stadium” di Cape Town, organizzato per sensibilizzare il pubblico riguardo le problematiche legate all'Aids; che a 85 anni accenna alle danze etniche del suo amato popolo sollevando in alto la “Coppa dei Mondiali di calcio” del 2010, i primi ospitati dal continente nero; che in “Internet” ha almeno 130 siti che parlano di lui; che corre, infaticabile, in ogni luogo del mondo per sfatare i pregiudizi sul colossale “melting pot” della sua diletta patria; che, pur fiero e regale, memore della sua alta pratica del rispetto della dignita' umana, non disdegna di rispondere a chiunque, quando la gente l'opprime col suo affetto e vuol sentire, dalla sua viva voce...

Presidente Mandela, che cos'e' la liberta', lei che in suo nome ha sofferto tanto?
“E' una fiamma che nessuno puo' spegnere. In tutto il mondo ci sono uomini e donne che la faranno sempre ardere. Anche a costo della vita”.
Come si augura che sia questo terzo millennio?
“Purtroppo, nel mondo vi e' ancora troppa gente che langue in poverta', schiava della fame, dell'intolleranza e dell'ignoranza. Spererei che, con la buona volonta' di tutti, finissero gli abusi e le ingiustizie sui bambini e sulle donne e che il disinteresse verso i miseri rimanga un brutto fenomeno del XX secolo”.
Si sa che lei e' un appassionato di storia. Dove collocherebbe l'apartheid nella scala delle atrocita' del XX secolo?
“A esclusione delle atrocita' commesse contro gli ebrei durante la seconda guerra mondiale, non c'e' altro crimine, nel mondo, che sia stato condannato all'unanimita' come l'apartheid. La cosa peggiore e' che una minoranza decise di sopprimere la stragrande maggioranza del Paese, utilizzando il nome di Dio per giustificare le nefandezze commesse”.
Lei pensa che le violazioni dei diritti umani commesse dall'apartheid siano state piu' terribili di quelle sofferte nei Paesi latinoamericani, come il Cile, il Salvador e l'Argentina?
“Durante la Commissione della Verita' e Riconciliazione abbiamo ascoltato cose tremende. Abbiamo riesumato tombe nelle quali c'erano i cadaveri di persone assassinate solo perche' avevano osato affrontare la superiorita' dei bianchi: uomini, donne, bambini, anziani. Le efferatezze che vennero commesse qui contro le persone innocenti sono state qualcosa di terribile, e questo non e' altro che una parte di storia. Troppa gente ha sofferto e ci sono state occasioni nelle quali l'aggressione fisica non e' stata cosi' grave quanto l'oppressione psicologica sofferta dalla popolazione nera durante 1'apartheid. E' una tortura psicologica impossibile da descrivere a parole”.
L'arcivescovo Desmond Tutu, anche lui premio Nobel per la pace come lei, ha posto in risalto i valori della trasparenza e della purezza che contraddistinguono la Commissione della Verita' e della Riconciliazione. Come interpreta lei questo lavoro che ha stupito il mondo intero? Come giudica il processo di “pulizia” che e' riuscita a portare a termine la Commissione?
“Secondo me la guarigione del Sudafrica e' stato un processo lungo, doloroso, memorabile della nostra storia, e la Commissione ha contribuito magnificamente a questo, perche' adesso le famiglie delle vittime della crudelta' conoscono quello che e' realmente accaduto ai propri cari. Alcuni di loro sono stati capaci di ascoltare le confessioni degli agenti dell'apartheid e hanno risposto che li perdonano. Naturalmente, ci sono altri che hanno cosi' tanta amarezza che impedisce loro di dimenticare il dolore per aver perso coloro che amavano. Credo che, in generale, la Commissione abbia svolto un lavoro straordinario, aiutandoci ad allontanarci dal passato, per concentrarci sul presente e sul futuro. Il vescovo Tutu ha realizzato un lavoro quasi inconcepibile dalla mente umana, nonostante le molte imperfezioni della Commissione della Verita' e Riconciliazione”.
Molte persone nel mondo credono che, come ha detto lei, il documento della Commissione sia splendido. Specie se, in tempi come questi, si parla di perdono e di "ubuntu". Ci dice cosa sono?
“Il perdono e' coscienza dell'altro, comprensione delle differenze, ammissione di colpa, bisogno di andare oltre. Solo dal perdono nasce l'amore. E questo e' il senso vero dell'"ubuntu", una filosofia cosi' radicata nell'animo dei neri africani. Anche in Sudafrica. Pero' nel mio Paese tutti quelli che desiderano il perdono devono sollecitarlo individualmente”.
La “Commissione della Verita' e della Riconciliazione” ha proposto di citare a giudizio coloro che non si sono presentati a dichiarare ne' il male subito ne' quello fatto. Le realta' politiche non rendono piu' complicato il lavoro della giustizia?
“Quando eravamo un movimento che lottava per la liberazione, tutto quello che avevamo da fare era riuscire a mobilitare le masse del nostro Paese e concentrare le nostre forze contro la supremazia bianca. Invece da quando siamo governo abbiamo una Costituzione che sancisce il dominio della legge e tutti quanti sono soggetti ad essa. Non solo questo: abbiamo adottato misure che garantiscono questa Costituzione perche' non rimanga un semplice foglio scritto capace di rompersi in qualsiasi momento. L'abbiamo trasformata in un documento vivo. Poi abbiamo creato strutture che fanno si' che anche il governo sia legato alla Costituzione e non agisca a suo piacimento. Disponiamo di un difensore pubblico, difensore del popolo, al quale puo' accedere qualsiasi cittadino offeso per lamentarsi e cercare giustizia. Abbiamo una Commissione per i diritti umani, formata dai sudafricani piu' noti e, soprattutto, abbiamo il "Tribunale costituzionale" che ha annullato, per esempio, azioni del governo. Bisogna obbedire alle istituzioni che abbiamo creato. La Commissione della Verita' e della Riconciliazione e' un'istituzione molto rispettata, gli uomini e le donne dai quali e' composta hanno svolto un lavoro splendido in circostanze difficili e per questo, secondo me, dobbiamo rispettare tutti, senza eccezioni, per quello che si e' fatto per il Paese”.
Quando lei usci' dal carcere, la Repubblica sudafricana era, come del resto gli Stati Uniti, fra i Paesi con il maggior numero di esecuzioni legali. Quando divenne presidente, una delle prime cose che fece fu abolire la pena di morte. L'indice di criminalita' che esiste in Sudafrica induce molte persone ad asserire la necessita' di ripristinarla per combattere il crimine con piu' efficacia. Potrebbe dirci qual e' la sua posizione?
“Sono contrario alla pena di morte, perche' e' un riflesso dell'istinto animale che continua a essere presente negli esseri umani. Non ci sono prove che la pena capitale abbia fatto diminuire l'indice di delinquenza in nessun posto. Quello che lo fa abbassare e' che i criminali sentano dire che se commettono un delitto, finiranno in carcere. In altre parole, quello che serve e' un sistema politico efficace, capace di combattere il crimine. Per questo abbiamo adottato misure per migliorare la capacita' della nostra polizia. La pena di morte non e' la risposta, la risposta e' migliorare l'efficienza del governo. In Sudafrica la pena di morte si e' utilizzata come pretesto per assassinare e si e' applicata soprattutto nei confronti dei neri. I bianchi non la subivano quasi mai. Questa e' la tradizione del Paese, ma e' un'usanza che abbiamo gia' lasciato dietro di noi e che nessuno riprendera'”.

Sudafrica: la Commissione per la verita' e la riconciliazione
[Russell Ally, Signor nemico crudele: lei e' stato perdonato, in: Diario della settimana, anno III, n.10, 11/17 marzo 1998]
http://www.presentepassato.it/Dossier/Diritti_98/14commissione_verita.htm

Quando la Commissione per la verita' e la riconciliazione e' stata costituita, nessuno di noi aveva veramente capito che cosa avremmo fatto e quali sarebbero state le conseguenze. C'era solo una legge del nuovo governo che diceva: questo e' il compito che vi viene assegnato. Era stimolante, e per i membri della commissione era anche un privilegio, ma e' anche qualche cosa che puo' spaventare. Voi sapete quali erano le condizioni in Sudafrica fino a poco fa, cioe' tutti i conflitti violenti che avvenivano nel nostro paese: non erano in molti quelli che avrebbero scommesso sulla possibilita' di una transizione pacifica. Tutti pensavano che ci sarebbe stato un cambiamento, ma nessuno era in grado di capire e di prevedere “quale” tipo di cambiamento. Di fronte a un cambiamento pacifico, si corre sempre il rischio di dimenticare il passato, mentre un cambiamento violento fa guardare al passato con il desiderio di punire chi era prima al potere. Quando il nostro presidente Nelson Mandela usci' di prigione, il suo primo messaggio al paese fu: "riconciliazione e unita'"; e molti si sorpresero nel vedere il nostro leader che, dopo tanti anni di prigione, parlava, senza tracce di amarezza, di riconciliazione. Ma e' proprio a partire da questo messaggio di comprensione e di riconciliazione che si e' reso necessario riesaminare il passato. Per superare l'apartheid c'e' stato un compromesso? Credo che, a un certo livello, sia vero. Pero' il compromesso non ha riguardato il bisogno di democrazia o il rifiuto del razzismo, ha riguardato “come” arrivare alla democrazia e al rifiuto del razzismo. “Ci uccidiamo a oltranza, per arrivarci, oppure cerchiamo un'altra soluzione?”. Questa e' la cosa piu' difficile da capire per i razzisti, perche' loro pensano che il compromesso sia stato fatto con il vecchio sistema. Mentre il fatto che si dovesse creare uno Stato democratico non razzista non e' mai stato oggetto di negoziazione.
Cosi', molte persone, in particolare quelle che erano al potere e che avevano tratto vantaggio dal regime dell'apartheid, hanno pensato che l'appello alla comprensione e alla riconciliazione di Mandela fosse un invito a passare un colpo di spugna sul passato. Dicevano: “Che miracolo incredibile, il perdono e la comprensione! Allora, perche' guardare al passato quando regnava soltanto conflitto e divisione? Cosi si creera' soltanto odio, si aumenteranno le divisioni del paese, si minaccera' la comprensione che si sta creando”. Cosi' dicevano gli ex gruppi dominanti nel nostro paese per motivare il loro rifiuto radicale a gettare uno sguardo al passato.
Ma c'e' stata anche un'altra reazione - chiamiamola di sinistra - di rabbia nei confronti di questa grande magnanimita' di Mandela. Dicevano che i neri avevano sofferto per tante generazioni e i cambiamenti che si registravano non erano frutto di un favore che i bianchi facevano al neri. La comunita' internazionale aveva definito l'apartheid un fenomeno criminale, come il nazismo e il fascismo. Quindi se l'apartheid era stato un crimine ci doveva essere qualche criminale che ne era responsabile. Ecco perche' dovevamo creare dei tribunali, dovevamo trovare dei responsabili e metterli in galera.
Al momento della transizione si sono manifestate queste due posizioni estreme, ed entrambe le parti si riferivano a Mandela, utilizzandolo in maniera opposta. Da una parte si diceva: e' stato troppo generoso e questo gli impedisce di procedere legalmente con dei tribunali. Dall'altra si diceva: e' stato cosi' generoso, dimentichiamo il passato. La discussione e' stata lunga, accesa, ma da questo dibattito e' nata la Commissione ed e' stato definito il suo compito: non avremmo dimenticato il passato e nello stesso tempo non avremmo messo in atto persecuzioni. Cio' che volevamo costruire era un meccanismo che ci permettesse di capire cio' che era successo, ma senza innescare azioni di vendetta.

Base di partenza: i diritti dell’uomo
Nostro compito, trovare le vittime e farne un lungo elenco


Cosi' abbiamo costituito la Commissione per la verita' e la riconciliazione articolata in tre sottocomitati indipendenti ma che collaborano strettamente e sono uniti dal filo rosso dei diritti dell'uomo. Il sottocomitato di cui io faccio parte si occupa delle violazioni dei diritti dell'uomo: persone che sono state uccise durante conflitti politici, che sono state sottoposte a torture, i desaparecidos, persone che sono state sottoposte a gravi maltrattamenti come il confino in isolamento. Nostro compito e' trovare queste vittime e farne un lungo elenco. Viaggiamo in lungo e in largo nel paese, in zone rurali e urbane; abbiamo degli incontri per la sensibilizzazione dell'opinione pubblica; lavoriamo con le chiese, con i sindacati e con le organizzazioni politiche, con le Organizzazioni non governative, e, grazie a questa collaborazione, portiamo le vittime di violazioni dei diritti dell'uomo a scrivere una dichiarazione. Fra queste dichiarazioni selezioniamo quelle piu' importanti. Poi organizziamo incontri pubblici e le vittime parlano delle violazioni subite; e questo e' un momento molto importante perche' permette alle vittime di recuperare la propria dignita', perche' nel vecchio Sudafrica non era mai stata offerta loro la possibilita' di parlare pubblicamente delle loro sofferenze. Questo e' molto importante, specialmente, per le famiglie che hanno perso una persona cara. Parlo dei padri, delle madri, dei fratelli, delle sorelle, di tutti i cari che vengono e fanno una celebrazione della vita di questa persona morta combattendo per i diritti dell'uomo. Sono esperienze potenti, drammatiche, ma anche molto difficili perche' le persone narrano storie di vero orrore, di vera sofferenza e sono persone comuni, spesso analfabeti, non sempre con delle convinzioni politiche, persone che a volte non hanno capito quello che faceva il figlio o la figlia. E' un'esperienza drammatica quella di una madre che, dopo venti anni, ha la prima occasione di parlare in pubblico di suo figlio che e' sparito nel nulla; oppure raccontare un'irruzione della polizia che ha cominciato a picchiare tutti violentemente e poi qualcuno e' morto. Questi incontri vengono ripresi dalla televisione e vengono trasmessi in diretta dalla radio, in tutte le lingue ufficiali parlate in Sudafrica - ne abbiamo undici - e tutti i giornali li seguono e ne riferiscono.
Il sottocomitato per l'amnistia e' quello che si occupa dei processi, per far si' che i colpevoli di certi reati non vadano impuniti. Questo sottocomitato ha il compito specifico di esaminare le richieste di amnistia per le gravi violazioni dei diritti dell'uomo indicati dalla legge costitutiva della Commissione: omicidio, tentato omicidio, tortura, rapimento e maltrattamenti gravi. I processi nel sottocomitato per l'amnistia, sono quasi giudiziari. perche' coloro che chiedono l’amnistia possono ottenerla solo se sono assolte tutte condizioni previste dalla legge. Queste condizioni sono molte, ma qui ricordero' solo le tre principali.
La prima condizione riguarda l’arco temporale. L’amnistia puo' essere richiesta solo se il reato e' stato commesso fra marzo 1960, quando l'African National Congress inizio' lotta armata, come risposta alla strage di Soweto, e il 10 maggio 1994, quando Mandela fu eletto primo presidente di questa nuova Repubblica.
La seconda condizione e' che il reato - che si tratti di omicidio, di rapimento o di tortura - deve essere stato commesso con motivazioni politiche; non e' valida la motivazione personale o per crimini comuni.
La terza condizione - forse la piu' importante - e' che ci deve essere una confessione piena e totale. Bisogna dichiarare tutto quello che si e' fatto, assumersi responsabilita' definite e precise. L’amnistia infatti e' molto specifica ed e' applicata per ogni atto. Non si puo' chiedere amnistia dicendo “ero nella polizia addetto alla sicurezza, chiedo l'amnistia per avere ammazzato delle persone oppure per avere torturato”. No, bisogna riferire in modo specifico di ogni persona uccisa, di ogni persona torturata e ogni azione viene giudicata in base agli stessi criteri. La stessa persona puo' ottenere l’amnistia per un'azione, ma non per un'altra. Le famiglie delle vittime o la vittima, se e' ancora in vita, hanno il diritto di opporsi alla concessione dell'amnistia e hanno anche il diritto di essere rappresentate da un legale. Possono opporsi alla concessione dell’amnistia dicendo che non e' stata detta tutta la verita' oppure che non c'era nessuna motivazione politica per quel determinato crimine.
C'e' un caso che ha avuto grande risonanza nell’opinione pubblica. e' il caso di Chris Hani, leader del Partito comunista sudafricano, comandante dell’apparato militare sudafricano e membro chiave dell'esecutivo dei National Congress. Dopo Mandela era la figura di maggior spicco nel nostro paese. Nel 1993 fu assassinato, e all'epoca furono catturate due persone: un immigrato polacco e un ex immigrato di passaporto britannico che vive in Sudafrica. Queste due persone dichiararono che questo assassinio era stato voluto dalla destra per impedire l'avvento del comunismo in Sudafrica. Ma gli avvocati e la moglie, che e' adesso in Parlamento, sostengono che e' impossibile che l'ordine venisse da un qualsiasi partito: pertanto, o queste persone non hanno detto tutta la verita' e proteggono qualcuno, oppure hanno agito a livello individuale. Per questi motivi si oppongono alla concessione dell'amnistia e il processo e' ancora in corso. Il nesso fra i due sottocomitati - quello dell'amnistia e quello della violazione dei diritti dell'uomo - consiste nel fatto che se una persona riesce a farsi concedere l'amnistia, le persone che sono state torturate o uccise automaticamente diventano delle vittime e a questo punto comincia il lavoro del terzo sottocomitato, quello addetto alla riparazione e alla riabilitazione.

Risarcire e riabilitare
Chi vuole un medico e chi una strada intitolato al figlio


Il compito specifico di quest'ultimo sottocomitato e' di esaminare ciascuna vittima e di decidere le misure adeguate di risarcimento e riabilitazione. A volte si' tratta di cure mediche, perche' in quegli anni la gente aveva paura di andare all'ospedale, e cosi' ci sono delle persone che hanno proiettili o schegge nella carne anche a dieci anni di distanza; altre hanno bisogno di' cure mediche per le conseguenze di torture alle quali sono state sottoposte e per le quali non sono mai state curate. Uno dei metodi di tortura preferiti all'epoca lo stiamo scoprendo adesso, era la mutilazione dei genitali con pinze o strumenti elettrici: molte persone vengono da noi dichiarando di essere impotenti a causa della tortura. Per questo e' importante essere esaminati dal medico anche a tanti anni di distanza. Poi ci sono persone che sono state costrette a interrompere gli studi e ora vogliono riprenderli. C'e' chi chiede una tomba per i propri cari, perche' le persone venivano sepolte senza lapide; oppure si chiede una risepoltura perche' le persone possono essere decedute in Angola, in Mozambico oppure perche' la polizia addetta alla sicurezza aveva seppellito i cadaveri in un posto qualunque. A volte, in memoria di una persona, si vuole dare il nome a strade, a scuole ed e' compito del governo decidere se dare seguito a queste richieste.
Naturalmente questo non e' un compito facile perche' le risorse sono limitate, c'e' bisogno di denaro per l'edilizia pubblica, per l'acqua e per tante altre cose. Ecco perche' sono fermamente convinto che uno dei test piu' importanti per la Commissione per la verita' e la riconciliazione e' vedere il governo dare una risposta al maggior numero possibile di queste richieste. Perche' se il responsabile di un crimine riesce a ottenere l'amnistia non vi saranno cause ne' penali ne' civili, quindi le vittime vengono private dei diritto di appellarsi in questi processi. Allora e' importante sostituire questo diritto con qualcos'altro, diversamente le vittime avranno tutte le ragioni di essere amareggiate e di sentirsi tradite.

Ascoltare il nemico
Si', ma anche scoprire i delitti di noi che abbiamo vinto


Io sto partecipando a un incontro dal titolo “Ascoltare il nemico”; ho riflettuto e, per essere onesto e franco, devo dire che non sono stati questi i termini in cui noi abbiamo visto la questione della nostra Commissione. Dato che la Commissione ha due aspetti, la verita' e la riconciliazione, e' difficile pensare in termini di "nemico": pensiamo piu' alle vittime e ai responsabili del conflitto; credo che questo sia qualche cosa di unico, perche' ci sono vittime fra gli ex nemici e ci sono anche responsabili di crimini tra gli ex appartenenti ai movimenti di liberazione. Quindi cosa significa adesso “ascoltare il nemico”?
La Commissione per la verita' e per la riconciliazione ha deciso di concentrare l'attenzione nel forgiare una nuova cultura, quella dei diritti dell'uomo. Se si assume un orientamento di questo genere, non si e' piu' in grado di scegliere tra le violazioni buone e le violazioni cattive dei diritti dell'uomo, perche' in questo modo si distrugge la base di questa cultura. Non si puo' dire: poiche' l'African National Congress si batteva per la liberazione, era giustissimo che l'Anc torturasse le persone in galere putrescenti. No, anche se l'Anc poteva dire che si trattava di spie dei vecchio ordine, l'Anc aveva la responsabilita' di trattare i prigionieri in maniera degna. Quando Thabo Mbeki, che sara' il nostro prossimo presidente, e attualmente e' il vicepresidente, ammette che l'Anc ha torturato, ha ucciso, allora chi devo “ascoltare”? Forse la situazione e' un po' peculiare, unica: un movimento di liberazione nazionale costretto ad ammettere responsabilita' di questo genere. Quando ci sono degli adolescenti che vengono alla Commissione e raccontano che, essendo pienamente convinti che una certa persona era un nemico, che lavorava per il governo dell'apartheid, hanno preso un pneumatico e glielo hanno messo sul collo, gli hanno gettato la benzina addosso e hanno acceso un fiammifero, chi dobbiamo “ascoltare”? Dobbiamo “ascoltare” chi ha messo in atto il crimine o la vittima?
Credo che tutto questo ci abbia dato una nuova percezione della natura del conflitto. Forse un filo conduttore importante e' considerare il fatto che ci sono vittime e rei da entrambe le parti dei conflitto. Pero' il conflitto e' stato combattuto da una parte per i diritti dell'uomo e dall'altra parte per la negazione dei diritti dell'uomo, quindi e' impossibile applicare gli stessi pesi e le stesse misure a quelli che combattendo per i diritti dell'uomo hanno violato loro stessi quei diritti e a quelli che imponevano con la forza un sistema che era basato sulla negazione dei diritti dell'uomo. Nel caso dell'apartheid le gravi violazioni dei diritti dell'uomo erano intrinseche al sistema, ne erano un elemento costitutivo. Per chi lottava contro l'apartheid invece i diritti dell'uomo, la democrazia, erano il fine, ma qualche volta c'era confusione tra mezzi e fine. Allora, sebbene si debba riconoscere quanto e' avvenuto, non si puo' dire che e' stata la stessa cosa.
Questa e' la grossa lotta in questo momento in seno alla Commissione, perche' i rappresentanti dell'ex governo l’apartheid vogliono vederlo solo come un conflitto politico, non come una lotta intorno al problema cardinale dei diritti dell'uomo. Fino a quando non riusciranno a percepire questa differenza, non sara' mai possibile ottenere un’assunzione di responsabilita', non ci potra' essere riconciliazione. Io ritengo dal piu' profondo del mio cuore che se non c'e' un'accettazione piena e incondizionata del fatto che l'apartheid era un sistema razzista, senza tentare alcuna razionalizzazione di cio' che quel sistema comportava, non vi puo' essere riconciliazione; quello e' il nostro nemico, il sistema dell'apartheid, e dobbiamo ascoltare e ascoltare di nuovo per cercare di capire e soltanto in questo modo procedere verso una nuova storia.

La forza per raccontare
Piangere puo' essere un punto di forza


Solo da poco abbiamo cominciato a prendere coscienza dell'impatto traumatico che il conflitto ha avuto sulle persone. Al tempo della lotta, tutti pensavamo che dovevamo essere forti: nessuno ha mai pensato che fosse necessario parlare di quello che era successo loro. Poco fa, per la prima volta, uno dei membri del nostro gabinetto, Mac Marage, ha parlato pubblicamente delle torture alle quali venne sottoposto. E’ successo che un generale, oramai in pensione, a domanda aveva risposto di non essere mai stato coinvolto direttamente o indirettamente nelle torture. Mac Marage era presente, si e' alzato, gli ha chiesto di ricordare il tempo in cui era un luogotenente: "Fosti tu a torturarmi, mi facesti questo e quest'altro, quindi adesso non osare negarlo".
Agli esordi di questa Commissione non erano gli attivisti che venivano alla Commissione, erano le famiglie, le madri, le mogli. Questi familiari venivano alla Commissione e scoppiavano a piangere; davanti ai nostri occhi si dispiegava la tragedia dell'uomo e questo, un po' per volta, ha eroso la necessita' di essere forti che spingeva i militanti a pensare che "loro" non potevano andare davanti alla Commissione. Esisteva un conflitto interiore, ma piangere, a volte, puo' essere un punto di forza e credo che stiamo cominciando a capirlo. Le conseguenze di tutto cio' forse in futuro potranno essere studiate in modo piu' approfondito, ma non era qualcosa che potevamo prevedere quando abbiamo creato la Commissione.

Le diversita' delle memorie
I torturatori ricordano il bene, i torturati ricordano tutto


Adesso voglio raccontarvi una storia che mi ha toccato personalmente. Nella parte occidentale di Citta' del Capo c'era un gruppo di giovani attivisti, un'ala clandestina del movimento militare dell'African National Congress. Li conoscevo perche' avevo appena finito l'universita' e avevo cominciato a insegnare. A causa della loro attivita' due sono stati uccisi, pensiamo giustiziati. La polizia ha sostenuto che si trattava di autodifesa; ma altri quattro sono stati sottoposti a gravi torture. Alcuni mesi fa il torturatore, uno che si chiama Benzin, ha chiesto l'amnistia. Ogni attivista all'epoca sapeva che la persona da evitare era proprio questo Benzin. Era noto per Il suo metodo di tortura infame: prendeva un sacco nero di tela, lo bagnava, vi faceva sdraiare supini, legava le mani, legava le gambe, saliva sulla schiena, metteva il sacco di tela nera sulla testa e lo chiudeva con una corda; era cosi' esperto che sapeva con esattezza il momento in cui la persona cominciava a perdere i sensi, stava per morire. Allora levava il cappuccio; poi continuava il trattamento fino a quando la persona rispondeva alle domande. Diceva che non gli servivano piu' di trenta minuti per ottenere le risposte che voleva. Ora davanti al pubblico stava Benzin e di fronte c'erano quelli che aveva torturato; e lui chiedeva l'amnistia. Il fatto strano e' che le quattro persone che stavano di fronte a lui non si opponevano alla richiesta, ma dicevano: "Non dici tutta la verita'". Benzin, stranamente, non era in grado di ricordare tutto quello che aveva fatto; ha dovuto fare una dimostrazione pubblica del suo metodo di tortura: ma la cosa che lui ricordava erano solo i gesti di umanita' nel confronti delle sue vittime. "Ma non ti ricordi che ti ho tirato fuori di' prigione e ti ho comperato il pollo? E tu mi hai detto: quanto mi e' piaciuto il pollo!". "Si'", diceva l'altro, "me lo ricordo, ma e' stato dopo che mi hai quasi ammazzato". La cosa piu' importante per Benzin era riconquistare una fetta della sua umanita', ricordando soltanto i momenti umani del suo comportamento; le barbarie, quelle non se le ricordava o diceva che non era in grado di ricordarle. Ma i torturati ricordavano tutto, fino all'ultimo dettaglio.
Dopo la sessione ho parlato con alcuni di questi attivisti che adesso fanno politica e mi hanno detto che anche per loro era la prima volta che ne parlavano. Non l'avevano fatto mai ne' con la moglie, ne' con la fidanzata, ne' con l'amico piu' intimo. Uno di questi, Gary Cooder, che adesso - ironia della sorte - e' a capo del servizio segreto militare, quando si e' trovato a confronto di Benzin ed e' stato interrogato, e' crollato e ha cominciato a piangere davanti al pubblico.

La suprema ingenuita'
Liberta' in cambio di verita'


Quando abbiamo cominciato a prendere in considerazione i primi reati di violazione dei diritti dell'uomo, una delle richieste che veniva continuamente presentata dalle vittime era sapere cosa era successo all'amato, chi l'aveva perpetrato e perche'. Si dichiaravano pronti a perdonare, ma dovevano sapere cos'era successo, perche' perdonare e chi perdonare. Adesso, man mano che emergono sempre piu' nomi e piu' fatti, le vittime cominciano a sapere chi, cosa e perche'. E non sono piu' sicure di voler perdonare. Questo e' umano, perche' a volte le azioni sono state cosi' barbariche, cosi' violente. Persone che sono state ridotte in cenere, avvelenate, persone gettate in fosse comuni. La polizia di sicurezza, per combattere la cosiddetta guerra di guerriglia, intercettava le persone che dalla campagna andavano in citta': o le convincevano a lavorare per loro, a diventare "ascari", oppure le eliminavano. In entrambi i casi non si sapeva cosa fosse successo a queste persone. Per anni e anni c'e' stato un velo di mistero. A volte i familiari accusavano l'Anc, perche' dicevano: "Mio figlio e' venuto a fare parte delle tue file, tu devi sapere dove e' andato finire". Quindi immaginate il loro shock quando scoprivano che i loro figli, partiti da casa per combattere per l'Anc, erano diventati "ascari", ammazzavano, quelli dell'Anc, o venivano uccisi dall'Anc in quanto "ascari".
Senza che noi lo avessimo preventivato o programmato, le vittime si vedono assegnare un ruolo preminente nella Commissione. Ecco che cosa e' cosi' forte, potente, nella Commissione a tutti i suoi livelli, sia che si tratti del sottocomitato sui diritti dell'uomo dove si parla con la propria voce, oppure dei sottocomitato per l'amnistia in cui i rei si' devono confrontare con le vittime. Ed e' cosi' diverso da un processo in tribunale. Perche' in un processo comune, in tribunale, l'accusato ha sempre la tendenza a proteggersi, a dire bugie, a negare. Ma nel processo per l'amnistia, e' proprio dire la verita' che evita la condanna, perche' se non si dice la verita', se non si dice tutto, non c'e' amnistia. E’ un fenomeno molto interessante perche' le vittime e le famiglie delle vittime a volte si vedono assegnare un posto piu' importante di quello dell'avvocato nello stabilire la verita', soprattutto se si tratta di sopravvissuti. Ecco perche' viene sempre sottolineata l'importanza della presenza delle vittime: questo e' un diritto fondamentale perche' la riconciliazione non e' solamente un processo storico ma e' anche il modo in cui la societa' tratta le vittime dei diritti umani. E abbiamo notato che anche se i familiari della vittima si oppongono alla concessione dell'amnistia non rinunciano mai a essere presenti; anche se sanno che l'amnistia potra' essere concessa anche contro il loro parere ritengono che, sia importante presentare il loro punto di vista,
La riconciliazione non e' un processo facile. Perche' e' un processo che non si propone solo di sapere chi e' la vittima e chi e' il carnefice; il nostro compito e' cercare di capire in tutte le sue sfaccettature e in tutta la sua complessita' quello che e' successo. Credo che questo sia un problema che non riguarda solo l'oggi, ma il futuro. E’ una cosa che abbiamo ribadito piu' volte nell'ambito della Commissione: che esiste non solo per indagare il passato, ma per ricostruire il futuro.

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scorpionred
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MessaggioInviato: Lun 10 Nov, 2008 12:41 am    Oggetto: Rispondi con citazione

ciao, sinceramente neanche io ne sapevo niente o meglio ne avevo sentito parlare ma non mi son interesato della cosa piu' di tanto.
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gp89
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MessaggioInviato: Lun 10 Nov, 2008 2:20 am    Oggetto: Rispondi con citazione

non sapevo nulla dell'aparthaid, è una storia che non viene raccontata ancora sui banchi di scuola e sono appena uscito dal liceo. grazie per aver pubblicato questo post, sono felice di aver letto tutto questo.

mandela ha preso il nobel per la pace, non so per quale motivazione in particolare, ma io gliel'avrei dato per aver istituito la Commissione della verità, i tribunali del PERDONO.
perdono è una parola molto difficile, ma necessaria. a leggerla così mi sembra una utopia, sono stati veramente grandi...

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MessaggioInviato: Lun 10 Nov, 2008 7:08 pm    Oggetto: Rispondi con citazione

gp89 ha scritto:
non sapevo nulla dell'aparthaid, è una storia che non viene raccontata ancora sui banchi di scuola e sono appena uscito dal liceo.


Scolasticamente parlando:

siamo proprio messi male, tanto per cambiare.

ritornando in topic, avevo visto un servizio televisivo sulle reti rai anni addietro, in un sabato notte in torna alla una o giù di lì, quando si dice servizio pubblico…

anche se: Romani 12: 19

non fate le vostre vendette ma lasciate posto all’ira di Dio, perché stá scritto A me la vendetta, io renderó la retribuzione, dice il Signore.

personalmente dopo quello che ho visto e sentito nel servizio di cui sopra, io non perdonerei mai le brutalità commesse ai danni di quelle persone, secondo me i tribunali del Perdono sono una di quelle “trovate” che dovrebbero fare da paciere/transito tra bianchi e Nativi, ma che all'atto pratico la vita ai sudafricani non glie la migliora e, non mi meraviglierei se un giorno i sudafricani stanchi di tanto vaniloquio iniziassero a girare armati di machete per farsi giustizia da “soli”.

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strano ma, vero... http://www.youtube.com/watch?v=KGwd7J0j-ps
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Teo76
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MessaggioInviato: Lun 10 Nov, 2008 7:22 pm    Oggetto: Rispondi con citazione

Un conto è la giustizia, un conto è la politica: la vita viene migliorata dalla politica, non tanto dalla giustizia per fatti del passato.

Con la vendetta o con l'oblio l'umanità non è mai andata molto lontano, questo esempio sudafricano mi sembra quanto di più vicino al concetto di Civiltà.

Fatti non fummo a viver come bruti, ma per seguire virtude e conoscenza
.
Dante, Inferno, XXVI.

Ciao

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