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photo4u.it - Tutorial
[i tutorial di P4U] Tutorial Ritratto (2° parte)
Il punto di ripresa e la posa

Punto di ripresa” e “posa” sono in qualche modo facce della stessa medaglia, aspetti strettamente connessi capaci di influenzare profondamente l’impatto che il ritratto avrà sull’osservatore.
Se ne abbiamo la possibilità, nel caso cioè di ritratti non improvvisati, giriamo intorno al soggetto, cerchiamo di valutare come cambiano le sfumature della sua espressione in funzione del punto di ripresa. Ciascuno di noi ha infatti un atteggiamento del viso o del corpo che più di altri manifesta il proprio mondo interiore; sia che si parli di primo piano o di ritratto a mezzo busto o figura intera, un’espressione dei lineamenti del volto, un’inclinazione della testa che piega lo sguardo, lo sbandamento del busto controbilanciato dal movimento della testa o una torsione del collo sopra la spalla che spinge in alto.. sono tutti modi attraverso i quali il nostro corpo comunica, si racconta in qualche modo. Sta al fotografo saperlo leggere, questo racconto. Trovare in altri termini la giusta chiave di lettura di questo linguaggio del corpo.



Un ritratto di struggente dolcezza “Francesca” di Cosimo Concilio, nickname: Concibs, (fig. 20), che ha nel taglio stretto e nel particolare angolo di ripresa i punti di forza della composizione. L’inquadratura raccolta ci avvicina al soggetto. Ma lo facciamo in punta di piedi, consapevoli di entrare in uno spazio intimo che è prima di tutto spazio dell’anima. Merito del giusto punto di ripresa: da dietro, quasi a nascondere i tratti del viso, accentuando così l’intonazione squisitamente privata ed introspettiva del ritratto. Proprio all’angolazione dello scatto “s.t.” di Aldo Feroce (fig. 21) deve uno straordinario connubio di potenza e delicatezza. Il punto di ripresa permette di cogliere la torsione del capo in tutta la solida pienezza della muscolatura del collo. Ma la rotazione del viso è sufficiente a regalarci tutta l’empatia di quel sorriso e di quegli occhi gentili. Tanto che il ritratto sembra “farsi” proprio in quel suo oscillare tra la forza maschia del collo in tensione e la dolcezza dell’espressione impreziosita dalle perle di sudore.

Il punto di ripresa è determinato dalla nostra posizione rispetto al soggetto e dall’altezza alla quale scattiamo, che influenzerà inevitabilmente l’angolo di ripresa. Siamo noi a dover capire quale sia la posa più coerente con l’individualità del soggetto, a seconda cioè della lettura che la nostra sensibilità riesce a fare di chi ci sta di fronte, tenendo sempre conto che la “posa” e quindi il modo che ha la figura di porsi di fronte all’obiettivo e di relazionarsi con l’osservatore, può cambiare a volte sensibilmente il contenuto del ritratto.

Se da un lato è nostro il compito di gestire la posa del soggetto, dall’altro è anche vero che in alcun modo dobbiamo forzare le situazioni. Lasciamo sempre che il soggetto esprima comunque la propria personalità nell’assumere la “fisicità” che gli è più propria e che lo fa sentire a suo agio perchè più aderente alla sua individualità.
Parlare, scherzare, sdrammatizzare con battute, interagire con il soggetto lo aiuta a rilassarsi, ad avere maggiore fiducia e a vincere in molti casi un certo imbarazzo iniziale di fronte l’obiettivo.
Spesso è utile anche coinvolgerlo mostrandogli nel display della fotocamera qualche scatto per farlo sentire parte attiva nel processo creativo.
Dall’altro lato dell’obiettivo anche il fotografo non dovrebbe mai mostrarsi impacciato o incapace di risolvere una situazione.

In altri termini, è importante che si stabilisca una atmosfera rilassata e un certo feeling tra il soggetto ed il fotografo, quali presupposti indispensabili per stabilire quella connessione, quella comunicazione emotiva necessaria per ottenere ritratti spontanei e naturali.
Le variabili nella combinazione tra “punto di ripresa” e “posa”sono infinite ma in fondo possiamo rintracciare tre casi fondamentali.
Oggetto: [i tutorial di P4U] Tutorial Ritratto - Percezione e Compo
Autore: ZioMauri29 - Inviato: Mar 16 Giu, 2009 10:21 pm
Abbiamo parlato di regola dei terzi e della convenienza (a volte) nel disporre il nostro centro di interesse in corrispondenza di uno dei punti di intersezione della griglia o comunque delle linee di struttura, verticali o orizzontali. Ma a questo punto, visto che i punti di intersezione sono quattro, c’è qualcosa che nell’ambito della percezione rende eterogenei questi punti?

Detto in altri termini c’è differenza tra “alto” e “basso”, tra “destra” e “sinistra”?

La risposta è si. Tutti noi quotidianamente facciamo continuamente esperienza di un mondo fisico dove la forza di gravità attira gli oggetti verso il basso. Qualunque spinta in alto comporta una “rivalsa” sulle leggi della gravità; significa vincere una resistenza. Per questo la linea verticale, come si diceva prima suggerisce dinamismo, tensione. E’ letta cioè in chiave di dinamica positiva se suggerisce una direzione dal basso verso l’alto. E’ per questo semplice motivo che nell’ambito della composizione quel che è posto in alto acquista, maggior peso figurativo rispetto al resto degli elementi. Tanto è che una configurazione di equilibrio compositivo si realizza allorquando un elemento di maggiori dimensioni in basso è controbilanciato da un altro più piccolo posto in alto.

Ma non solo, uno dei fattori del quale è utile tenere maggiormente conto nella composizione è la nostra tendenza a leggere un dipinto come una fotografia, da sinistra verso destra.

La più importante conseguenza di ciò è che qualunque elemento della composizione, collocato a destra del campo d’immagine pare avere un maggior peso figurativo. E’ questo il motivo per cui ad esempio diamo significato diverso alla diagonale che da sinistra in basso raggiunge l’angolo superiore destro (ascesa) rispetto a quella opposta (discesa).



Molto ben costruito il fotogramma nel “Il falconiere” di Victor53 (fig. 63), dove la composizione distribuisce le masse secondo la diagonale che va dall’angolo in alto a sinistra a quello in basso a destra. Complice la tendenza a leggere l’immagine da sinistra a destra, questa diagonale viene percepita come in discesa, tanto da farsi qui strumento del racconto del ritratto nel sostenere e dare sostanza allo sguardo dolce ed autorevole insieme del falconiere che letteralmente scivola lungo il corpo del rapace, carezzandone il piumaggio. Situazione opposta in “Paolo Fresu” di Andrea Feliziani (fig. 64) dove il fotogramma è strutturato sul dialogo delle due diagonali contrapposte: quella meno “strutturale” definita dal braccio alla nostra destra e quella “portante” lungo la quale si allineno l’asse del braccio e dello strumento. Questa è la diagonale che viene percepita come ascesa e si fa anche in questo caso funzionale al racconto nello svolgere la musicalità dello strumento e far “salire” alte le note che paiono liberarsi oltre i margini del fotogramma.

La nostra tendenza a guardare le immagini secondo il verso di lettura (per noi occidentali da sinistra a destra) comporta che spesso paga collocare il nostro centro d’interesse sulla destra, anche se di piccole dimensioni. L’occhio sarà portato facilmente a riconoscere quello come “fuoco” della composizione soprattutto considerando il fatto che in virtù proprio del verso di lettura lo “scorrimento” dello sguardo lungo il fotogramma avviene in modo più agevole e fluido da sinistra a destra che non nell’altro senso.

Immaginiamoci (anche se entriamo nel campo del paesaggio) ad una strada colta in prospettiva obliqua che punta in direzione di un casolare. La composizione verrà letta con più efficacia se il movimento dell’occhio lungo la strada per giungere al casolare si compie da sinistra verso destra.

E nel ritratto? Ricordiamoci delle linee di forza cui si accennava prima: non è un caso ad esempio che si preferisca lasciare che lo “scorrere” dello sguardo del soggetto avvenga secondo la direzione di lettura che ci è più congeniale, cioè da sinistra a destra.
Si tenga presente poi che se è vero che un elemento quando occupa la destra del fotogramma acquista un maggiore peso figurativo, è anche vero che proprio per questa “direzione di lettura” gli elementi in primo piano sono generalmente percepiti (anche con una certa coerenza del flusso prospettico) più vicini all’osservatore quando sono a sinistra che non a destra.

Questo spiega il perchè l’osservatore tende ad identificarsi proprio con l’elemento che viene percepito come il più vicino e perchè posizionare in un primo piano, ad esempio, il soggetto sulla sinistra con lo sguardo rivolto fuori campo a destra può, a seconda dei casi ovviamente, essere particolarmente efficace per la riuscita del ritratto.

Stessa cosa dicasi per quei ritratti dove la figura intera è colta secondo una dinamica tale da assecondare la “lettura d’immagine” da sinistra destra secondo quelle linee di forza che la gestualità del corpo stesso libera nello spazio circostante: un braccio proteso, lo sguardo, l’atto stesso del camminare o del correre.

Ma comporre significa dover tenere conto che in un modo o nell’altro abbiamo a che fare con tre tagli fondamentali: quello orizzontale, quello verticale, e quello quadrato.

Con i primi piani, se il taglio orizzontale si adatta bene, quando il viso è sbilanciato da un lato, a mettere in relazione lo spazio vuoto con l’espressività del soggetto, come nel caso di ritratti dall’accento introspettivo ed evocativo, ma anche a permettere un certo grado di ambientazione, il taglio rettangolare verticale consente effetti di maggiore impatto. Si adatta meglio alla forma del viso infatti e consente rispetto a quello orizzontale di stringere l’inquadratura sul soggetto spezzando il rapporto con lo scenario circostante (soprattutto se ci sono elementi di disturbo) e focalizzando l’attenzione sulla sua espressività, lo sguardo in particolare. Ma nel caso dei ritratti a mezzo busto o a figura intera, se il campo orizzontale è uno strumento prezioso nel permetterci di relazionare il soggetto con lo scenario circostante, il taglio verticale “disegna” meglio la figura e ne sottolinea lo sviluppo in altezza. Il taglio quadrato è invece un taglio particolare, che per sua natura non predilige una direzione ma introietta al suo interno tutta la dinamica della composizione. Si adatta quindi a quelle composizioni fortemente centripete per esempio, dove c’è un forte centro figurativo e geometrico o a quelle composizioni che svolgono e liberano la tensione dinamica lungo una diagonale.

Va da se che queste sono “regole” nella misura in cui valgono a svelare certi meccanismi della percezione e quindi della fruizione di una fotografia. Non possono essere assunte ne come inderogabili ne come assolute, e vogliono solo essere principi guida sulla composizione che è bene conoscere ma dai quali non bisogna mai lasciarsi condizionare del tutto.

Sull’altro piatto della bilancia ci siamo noi, ovviamente. Il tessuto della nostra esperienza ma soprattutto della nostra sensibilità, vera guida in quel processo di sintesi qual’è la fotografia che è prima di tutto atto creativo.
Oggetto: [i tutorial di P4U] Tutorial Ritratto - Illuminazione
Autore: ZioMauri29 - Inviato: Mar 16 Giu, 2009 10:25 pm
Illuminazione

    In studio:
E’ fondamentale un approccio il più semplice possibile alla gestione della luce. Spesso, e fortunatamente, i migliori risultati si ottengono senza affollare il set di luci, lavorando con una o due fonti di illuminazione.

Molti ritrattisti si affidano alla luce naturale capace di conferire a volte impareggiabili effetti di plasticità e vibrazione dinamica.
E opportuno partire proprio da questa e conoscere poche regole essenziali per sfruttarne appieno tutti i vantaggi (soprattutto.. è gratis), per quanto il suo comportamento sia ovviamente meno prevedibile di una fonte di luce artificiale.
Sono molti i fattori che influenzano il comportamento della luce che filtra da una finestra, non ultime le dimensioni della finestra stessa, la sua distanza dal soggetto e la posizione di questo rispetto alla fonte luminosa.

Quel che ci interessa è la resa della luce, dura o morbida cioè, che, tradotto in termini di impaginato chiaroscurale, significherà avere nel primo caso contrasti robusti e rapidi passaggi tra le zone d’ombra e quelle più illuminate, oppure nel secondo caso sfumature dolci e “lunghe”.
In linea generale è la dimensione della fonte luminosa che influenza la resa della luce: più piccola è infatti la finestra, più contrastata sarà la luce; più è grande (pensiamo a grandi vetrate) più dolce sarà la luce.

E questo vale per qualunque fonte luminosa, ovviamente.

Anche la distanza relativa tra il soggetto e la finestra influenzerà il comportamento della luce con una resa più o meno contrastata a seconda se posizioniamo il modello più o meno distante dalla finestra: più distanza significa maggiore contrasto, viceversa meno distanza meno contrasto.
Allo stesso modo se avviciniamo o allontaniamo una fonte di luce artificiale al soggetto diminuiremo o aumenteremo il contrasto. Più la sorgente luminosa è distante dal soggetto più marcato sarà il contrasto, con ombre portate dai contorni duri e netti. Più vicina sarà al soggetto e più morbida sarà la resa della luce con ombre dolci e sfumature più vellutate.

Ma ci sono vari espedienti che ci consentono di condizionare la resa della luce, così che non sia la distanza la sola variabile.

Perchè in una bella giornata di sole l’illuminazione è dura e contrasta, mentre quando è nuvoloso tutto si fa più morbido e dolce? Proprio per effetto delle nuvole che fungono da “mega-diffusore”.
Si tratta di ricreare in studio (ma non solo) le stesse condizioni. Quando la luce che proviene da una finestra è troppo dura, un foglio di carta da lucido, una tenda, un velo di mussola, interposto tra finestra e soggetto diffonde la luce rendendone la resa più dolce e morbida perchè è come se aumentassimo le dimensioni della sorgente luminosa.

Va da sè che anche la posizione del diffusore avrà i suoi effetti a seconda se è più o meno distante dalla finestra: più distante sarà dalla finestra (e quindi più vicino al soggetto) più dolce sarà la luce.
Va poi considerato come è posizionato il soggetto rispetto alla fonte luminosa: posizionare il modello a 90° significherà ottenere una illuminazione laterale con contrasti abbastanza marcati (pensiamo ad un volto per metà illuminato rispetto al suo asse e per metà in ombra); per una resa della luce più plastica e morbida si può provare a posizionare il soggetto a 45° rispetto la finestra.

In ogni caso difficilmente una fonte di illuminazione riesce da sola a produrre i risultati migliori. Ci sarà quasi sempre l’esigenza di “aprire” come si suol dire le ombre, renderle meno dense e marcate.
Ma invece di ricorrere ad una seconda fonte di illuminazione, potrebbe bastare l’uso di un pannello riflettente bianco che riverberando la luce sull’altra parte del soggetto addolcisce le ombre. Le modulazioni che si possono ottenere sono praticamente infinite a seconda di quanto avviciniamo o incliniamo il pannello rispetto al soggetto.

Per riflettore possiamo utilizzare qualunque cosa “rifletta” la luce: dai semplici fogli di cartoncino bianco ai pannelli di polistirolo, ai riflettori argentati o a quelli dorati che consentono una resa della luce più calda.
I riflettori oltre ad aprire le ombre del viso donano piacevoli riflessi ai capelli (e quindi volume) ed accendono piccole ma importanti fiamme di luce negli occhi a tutto vantaggio dell’espressività del soggetto e dell’impatto del ritratto.

Ma come possiamo voler riverberare la luce sul soggetto, possiamo volere fare esattamente l’opposto e cioè assorbire la luce e bloccarne il riflesso. In questo caso basta sostituire al pannello chiaro un pannello nero (cartone o meglio velluto nero) e otterremo delle ombre molto più dense, situazione ideale per quando ricerchiamo degli effetti di illuminazione più drammatici, tenendo conto che più avvicineremo il pannello nero al soggetto maggiore sarà l’entità delle ombre.

Ovviamente possono essere utilizzati anche due o più pannelli riflettenti. In genere nei primi piani o nei mezzi busti un secondo pannello riflettente è posto sotto il viso così da riverberare la luce dal basso ed addolcire soprattutto le ombre del mento e del collo, ottenendo un ordito chiaroscurale armonico ed equilibrato.

Quando non è possibile utilizzare la luce naturale o si vuole comunque avere un controllo totale senza variabili impreviste, si ricorre alle fonti di illuminazione artificiale.

La parte del leone la fanno i flash, ma è possibile utilizzare anche sorgenti a luce continua come le lampade ad incandescenza o quelle fluorescenti che però determinano dominanti colore che solo nel caso del ritratto in bianco nero possono essere trascurate. Sono però le unità flash le più utilizzate, anche per il fatto di consentire tempi di esposizione rapidi, a differenza delle sorgenti a luce continua, e tali quindi da congelare il soggetto e garantire la corretta incisione delle immagini.

La regola d’oro è sempre quella di mantenere lo schema dell’illuminazione il più essenziale possibile: una, a volte due, unità flash con un paio di riflettori sono più che sufficienti a garantire ottimi risultati.

Ovviamente gli schemi e le possibilità di illuminazione sono enormi e variano in funzione del risultato che si vuole raggiungere. Generalmente la fonte di luce principale viene posizionata leggermente rialzata e laterale rispetto al soggetto perchè è con una illuminazione dall’alto che siamo abituati a vedere le cose ed il risultato sarà più naturale.
Chiaramente la luce principale può essere disposta in svariati modi ed illuminare in pieno la parte del viso rivolta alla fotocamera o può essere di taglio, frontale alta, laterale alta, etc. Una volta definita la scena con la sola luce principale si può pensare di completare l’illuminazione con l’uso di un riflettore bianco, argentato o dorato (a seconda) per aprire e addolcire le ombre posizionato in genere a 45° rispetto al soggetto, dall’altro lato rispetto alla fonte di illuminazione principale. Ricordiamoci che avvicinare o allontanare il pannello dal soggetto equivale a dosare di più o di meno l’intensità della luce riverberata sul soggetto e quindi ad aprire in misura maggiore o minore le ombre.

Quando però il riflettore da solo non è sufficiente si interviene con una fonte di illuminazione ausiliaria chiamata “complementare”, generalmente munita di un diffusore che riduce l’impatto del lampo e viene comunque regolata con una potenza quasi sempre inferiore a quella principale.

Questa seconda sorgente di luce infatti deve servire solamente a rendere alcune ombre più “trasparenti” e permettere la leggibilità di alcune zone altrimenti troppo buie. Non dobbiamo cioè appiattire l’immagine privandola di plasticità e tridimensionalità, ma trovare il giusto equilibrio nel necessario rapporto tra luce ed ombra. Val la pena di ricordare che è nella dialettica tra luce ed ombra che si definisce l’ordito chiaroscurale e quindi il volume di un soggetto. Aprire eccessivamente le ombre minimizzando troppo lo spessore del chiaroscuro equivale a rendere un immagine piatta ed assolutamente priva di attrattiva.

Il contributo di ulteriori riflettori dipende chiaramente dalle singole condizioni di scatto e da ciò che esattamente cerchiamo di ottenere.
Esistono poi luci accessorie molto utilizzate come quelle per lo sfondo che vengono destinate all’illuminazione del fondale. Questo tipo di luce è molto utilizzata per esempio nei ritratti HK dove ci si vuole assicurare uno sfondo perfettamente bianco. Altra luce accessoria è quella “effetto” utilizzata per staccare il soggetto dallo sfondo esaltandone i contorni e viene posizionata dietro il soggetto per creare una condizione di controluce.
Oggetto: [i tutorial di P4U] Tutorial Ritratto - Illuminazione
Autore: ZioMauri29 - Inviato: Mar 16 Giu, 2009 10:29 pm
Illuminazione
    In esterni:
Con i ritratti in esterni si tratta, ovviamente, sapere gestire e controllare la luce naturale ed il suo carattere di imprevedibilità. Il piacere nei ritratti in esterni è sopratutto quello di liberarsi dell’uso flash (tranne che in certi casi come il controluce) e sfruttare le potenzialità della luce del sole per ottenere immagini spontanee, immediate ed incredibilmente naturali.

Avere a che fare con la luce del sole significa avere però consapevolezza del suo carattere principale ossia (al di là delle imprevedibili condizioni climatiche) la sua mutevolezza nel corso della giornata sia in termini di intensità che di valori cromatici.

Cosa questa che si traduce chiaramente in problemi da risolvere da un lato ma anche di enorme possibilità in termini creativi per il fotografo, dall’altro. Le migliori ore del giorno per fare delle sessioni in esterni sono quelle del primo mattino e del tardo pomeriggio: diciamo approssimativamente tra le 5,30 e le 11:00 quando la luce è più bianca e le 16:30 ed il tramonto, quando la luce è più rossiccia. E’ in queste ore del giorno che il sole è basso e la luce dei suoi raggi è più dolce e morbida, garantendo rese in termini chiaroscurali senza contrasti eccessivi. Condizioni difficili da gestire sono invece quelle in cui il sole è alto e la luce risulta dura e particolarmente aspra e soprattutto ingenerosa nel disegnare antiestetiche ombre portate sulla pelle dei nostri modelli.
Detto in altri termini: fotografare con il sole a picco è la peggiore delle condizioni a causa delle forti ombre portate che si creano sotto gli occhi ed il mento. Al contrario, risultati decisamente migliori si ottengono quando le nuvole ci danno una mano nel regalarci una luce morbida e diffusa: un cielo coperto è il migliore diffusore che esista.

Quando la luce è troppo forte basterebbe spostare il nostro modello all’ombra di un albero, di un muro bianco, o intervenire con l’uso di pannelli diffusori che consentano di addolcire i raggi del sole smorzando l’impatto della luce sul soggetti e rendendo più morbido l’impaginato chiaroscurale.

Posizioniamo il soggetto angolato rispetto ai raggi del sole così da mantenere una buona illuminazione ma anche evitare che tenda istintivamente a strizzare gli occhi. E’ necessario però, soprattutto quando la luce del sole è più intensa e più forte è la resa del chiaroscuro, riverberare una certa quantità di luce sul soggetto con l’uso dei pannelli riflettenti. Il riflettore, posizionato chiaramente dalla parte opposta alla zona illuminata, è indispensabile per schiarire le ombre e rendere l’illuminazione più omogenea. Ricordiamoci di valutare l’esposizione sulla parte più illuminata del viso come le guance o la fronte. Ma non dimentichiamo che un bel riflettore dorato è l’ideale a “scaldare” la luce quando questa è scarsa.

Anche all’esterno e sotto il sole il flash può rivelarsi di grande utilità nel ampliare la latidutine di esposizione e cogliere in altri termini i maggiori dettagli sia nelle zone più in ombra che in quelle più illuminate.

Ci riferiamo all’uso del così detto flash di riempimento, che ci consente di ottenere un buon bilanciamento in termini di esposizione tra il soggetto in primo piano e lo sfondo, quando il nostro modello è colto in controluce.
Sostanzialmente il trucco sta nel calcolare l’esposizione con una lettura spot sulla zona più scura dello sfondo luminoso, lasciando che il lampo del flash illumini il soggetto in primo piano. Attenzione però che il lampo non risulti troppo violento. Uno degli errori principali è quello di creare una discrepanza eccessiva tra il soggetto fin troppo illuminato e lo sfondo, che porta a risultati artificiosi. Si deve imparare a compensare il flash manualmente, riducendo cioè l’impatto del lampo, in modo da pervenire a risultati più naturali e quindi anche più credibili.

Un cenno meritano poi quei filtri che aiutano in un maggiore controllo della luce: i filtri grigi neutri ad esempio che bloccano la luce troppo forte; i filtri graduati che aiutano nel riequilibrare l’esposizione tra il primo piano ed il cielo; il filtro polarizzatore i cui benefici non potranno essere eguagliati da nessun tipo di fotoritocco e che si rivela indispensabile nel minimizzare i riflessi (ma non quelli delle superfici metalliche).

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