Sembra quasi inutile sottolinearlo, ma è attraverso la composizione che “componiamo” il soggetto all’interno dell’inquadratura. Il che significa che è il principale strumento che abbiamo per relazionare il soggetto con il suo spazio, che è quello che ricade all’interno dell’inquadratura, ma anche virtualmente con il nostro. Il modo in cui questo avviene dipende molto dal contenuto emozionale del ritratto e non si possono dare regole a priori universalmente valide.
Scrive
Rudolf Arnheim, uno tra i maggiori studiosi del rapporto tra i fenomeni della percezione visiva e l’arte figurativa: “
l’oggetto della percezione umana e animale non è soltanto un agglomerato di cose, di colori e forme, di movimenti e dimensioni: è prima di tutto una interazione tra tensioni guidate” (Arte e Pecezione Visiva, Milano 2002).
Affrontare il problema della composizione, in fotografia come in qualsiasi campo dell’arte figurativa, non dovrebbe prescindere dalla comprensione dei fenomeni che presiedono il nostro modo di percepire la realtà. Nel campo percettivo, un pò come accade in un campo di forze elettromagnetiche, agiscono delle forze (quelle che prima Arnheim ha definito “tensioni”) che si vengono a creare tra le diverse parti di uno stimolo. Ora, per farla breve, la percezione altro non è che la risultante della dinamiche di queste forze attraverso cui si organizza il campo percettivo.
Conoscere i principi che presiedono a queste dinamiche può aiutare, e non di poco, nella composizione.
Perchè, ad esempio, in una determinata composizione ci rendiamo conto, spontaneamente, che alcuni elementi hanno un “peso figurativo” maggiore di altri? Cosa è che fa si che un elemento della composizione si imponga più di altri sul resto della compagine figurativa? Sono
diversi i fattori che influenzano la percezione di un maggiore o minore peso.
Un fattore fondamentale è la “
dimensione” che un elemento ha in relazione a quella degli altri oggetti della composizione: ad una maggiore dimensione corrisponde una maggiore “
gravità” figurativa, e questo chiaramente lo deriviamo nel campo della percezione dall’universo delle nostre esperienze quotidiane. Anche il colore fa la sua parte nel suggerire a volte un maggiore o minore peso dell’elemento: un oggetto più chiaro, ad esempio riesce ad imporsi su di un altro più scuro, apparendo più grande per via del fenomeno dell’irradiazione, così come l’accento cromatico, lo squillo del tono di un elemento può in molti casi fare la differenza. Determinante è anche l’ “
isolamento”: un elemento isolato su di uno sfondo di non particolare esuberanza figurativa, avrà certamente una maggiore importanza compositiva di un altro elemento, pure simile, ma “confuso” tra tanti altri. Ma fra tutti i fattori, quel che interviene maggiormente a determinare il peso figurativo è la “
collocazione” che ha l’oggetto all’interno della composizione; il “peso figurativo” cioè è funzione di una maggiore o minore distanza dall’asse centro-verticale o centro-orizzontale del campo d’immagine: tanto maggiore è questa distanza, tanto maggiore sarà il suo il peso.
Per questo spesso elementi di una certa dimensione posti al centro della composizione possono infatti venire controbilanciati da elementi di dimensioni minori ma più marginali.
Ecco il perchè, in termini pratici, sbilanciare la figura al lato del fotogramma equivale a sottolinearne un certo peso figurativo a tutto vantaggio di una maggiore tensione dinamica della composizione.
In linea generale dovremmo cioè evitare di posizionare il soggetto al centro del fotogramma, “luogo” ove si hanno le configurazioni di maggiore stabilità e quindi anche di staticità: sbandare la figura da un lato imprime invece una maggiore tensione dinamica conferendo un maggiore impatto in termini di vivacità, dinamismo ed immediatezza.

C’è una tensione emotiva fortissima in “Look me” di Elisabetta Figus, nickname: Marea, (fig. 36). Un ritratto capace di restituire l’espressione della piccola seria e curiosa al tempo stesso, con il viso inclinato per spingere lo sguardo più lontano. Il soggetto è sbilanciato di lato ed il taglio a sinistra comprime proprio in senso contrario all’inclinazione del capo che è invece opposta alla direzione dello sguardo. Si realizza così, quasi sotto i nostri occhi, quel movimento ampio ed espressivo che lascia spazio sulla destra all’esuberanza capricciosa dei riflessi dorati dei capelli che completano la composizione. Bellissima l’inquadratura che stringe sul volto ma che sa mantenersi ampia, al di sotto della curva del mento per meglio farci apprezzare la postura del collo che sostiene l’inclinazione del viso. Si condensa in “Ritratto semplice” di Giuseppe Palma, nickname: Hamham, (fig.37) tutto l’incanto dello stupore infantile che ha il sapore di un rapimento ingenuo e felice. E’ ancora una volta la composizione la chiave di volta di questo racconto: la figura del piccolo è sbilanciata sulla sinistra e la forte asimmetria si combina felicemente con l’inclinazione del viso creando una tensione dinamica capace di accentuare il dato emozionale del ritratto ed assecondare la direzione dello sguardo al di là del margine del fotogramma. Da qui il sapore che ha lo scatto di un volo, di un rapimento che vale a restituirci tutta la trepidazione dell’ universo infantile del piccolo. Perchè il ritratto registra quel momento impercettibile e magico in cui lo stupore sta per disciogliersi in un sorriso non ancora compiuto. Ed in quel rimandarci ad un centro di interesse fuori campo, forse il sorriso della madre, lì a due passi dal cuore, sta tutta la magia di questo “ritratto semplice” ma di forte, fortissimo spessore evocativo.