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photo4u.it - Eventi
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Mostra Fotografica “RITOrno” (RM)
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Mostra Fotografica “RITOrno”
Presso Galleria "La Cuba d'Oro"
Via della Pelliccia 10, Roma
Dal Martedì al Sabato, dalle ore 18.00 alle 20.00
Dal 19 Maggio 2010 al 28 Maggio 2010
Ingresso Gratuito.
Le immagini che compongono la mostra derivano da un lavoro d’ indagine etnografica-visiva condotta presso la tribù dei Surma, in Etiopia, dove ritorno dopo una lunga pausa temporale; l’indagine ha prodotto come risultato, oltre alle immagini, anche molti interrogativi.
Questo brano tratto dal diario di viaggio da me redatto, giornalmente, racconta del momento in cui si assiste al rito della scarificazione.
La Scarificazione 18/03/09 Tulgit (mt. 1.300 s.l.m.)
Vediamo che una donna ed un giovane ragazzo, scelto non so in base a quale criterio, si siedono sotto un albero e la ragazza, con un bastoncino di legno inizia a fare dei disegni geometrici sul braccio del ragazzo, conclusi i quali afferra una lametta di rasoio, solleva la pelle con una arbusto spinoso poi inizia ad incidergli la pelle provocando la fuoriuscita del sangue. Questa operazione si ripete su tutto il braccio del ragazzo, seguendo le linee poco prima disegnate; dal volto di lui traspare una certa sofferenza, malcelata da un tentativo di risata rivolta verso di noi, intenti chi a guardare, chi a scattare foto, chi a utilizzare la videocamera. Intorno a noi, sempre una quantità di gente esagerata, che partecipa con schiamazzi e lazzi, soprattutto i bambini. Conclusa l’incisione, l’assembramento di gente si disperde, ma il rito non è ancora concluso, difatti le cicatrici che saranno il risultato della scarificazione sono determinate dalla ricopertura delle ferite, con terra o polvere di cenere; la ragazza ed il ragazzo si spostano di qualche metro per andare, diciamo così a “sciacquare” le ferite con terra e cenere. La reazione fisica al contatto con questi due elementi, produce le cicatrici a rilievo tante volte viste sui corpi di questa tribù, come di altre in molte parti dell’Africa. Abbiamo detto che è un rito, questo, per turisti e difatti ci viene presentato il conto, paghiamo il dovuto (circa 600 Birr) e rientriamo mestamente verso il campeggio.”
Da un punto di vista antropologico, di ricerca, le domande che si aprono rispetto alla scarificazione eseguita in nostra presenza e dietro pagamento di un corrispettivo in denaro, sono:
- questo rito è ancora autentico?
- questo rito, ancora oggi perpetrato, lo sarebbe stato comunque e sarebbe ancora così attuale o la presenza di turisti che lo richiedono impone ai “selvaggi” di mantenerlo vivo?
Viene alla mente la pratica del noto antropologo italiano De Martino, che faceva replicare i riti pastorali religiosi a scopo di studio antropologico. Ed alla domanda sulla veridicità o meno la risposta potrebbe essere che forse sì , c’è ancora autenticità. Alla domanda sull’attualità del rito si può pensare che nell’evolversi del movimento turistico, possa divenire solo finzione, senza però dimenticare che potrebbe anche assolvere al ruolo di “memoria” storica di tradizioni tribali, salvandole dalla completa dimenticanza, dimenticanza che è figlia di una globalizzazione ferocemente in atto. Un nuovo interrogativo per chi viaggerà, come me, in remote parti del mondo cercando “l’autentico” ( Grazia Menna)
Il trekking scientifico di Grazia Menna
…Non si tratta quasi mai di foto di gruppo, di paesaggi, oppure di ritratti frontali. Lo scatto è lungamente meditato da Grazia Menna, che non ama l’istantanea. I soggetti sono presi sovente di spalle o defilati, in primo piano c’è soltanto una mano, un dettaglio significativo, il particolare della smorfia di dolore del ragazzo che si sta sottoponendo alla scarificazione. I soggetti vengono fissati mentre osservano una foto, o fotografano a loro volta, o assistono al film della scarificazione: il racconto è affidato specialmente al dettaglio, che per la sua, a volte, raccapricciante realtà, parla, grida più che l’illustrazione del momento principale che giustificherebbe, in altro fotografo, un momento che chiamerei soltanto narrativo. Il disegno è tracciato sul corpo del ragazzo (l’avambraccio) con la terra, quindi le linee sono sostituite dai tagli della lametta. I tagli lasciano colare il sangue, che viene subito fatto cicatrizzare con la terra. In altra foto, la lametta raccoglie tutta la luce e costituisce il particolare crudo e impressionante dell’immagine, liscia e pericolosamente tagliente, contro la ruvidezza del braccio appena scarificato. La scarificazione è documentata a Tulgit nell’Etiopia del Sud- Ovest. Il dettaglio è privilegiato, nelle foto di Grazia Menna e il momento descritto è specialmente quello che avviene prima e dopo il fatto principale. Una mano, un braccio, quindi che si accingono a compiere l’evento, che sono in attesa dell’evento non tanto l’evento stesso, sono l’interesse di chi sceglie il dettaglio da fissare nello scatto. Si vedano inoltre i ritratti: quello dell’uomo di Korum, in cui il disegno corporale, i lobi delle orecchie forati, la rasatura dei capelli si coniugano con la presenza del mitra sulle sue spalle e il bellissimo ritratto in piedi e di traverso del ragazzo Surma a Tulgit (figura 3) preso dal basso in modo da farne risaltare l’alta statura. Oppure il ritratto della ragazza Surma, sempre a Tulgit, con il caratteristico piatto labiale. La scena filmata del salasso della mucca è osservata da una viaggiatrice e da una ragazza Surma, in primo piano e viste da dietro, mentre la reale scena del salasso della mucca è trascurata. Del salasso è privilegiato il momento in cui il ragazzo beve il sangue Il commento alla foto è indispensabile alla comprensione della foto stessa, proprio perché la foto non è ciò che è, ma è presa per un particolare che ha bisogno di essere completato dalla scrittura. Si tratta, in un certo senso, di una poesia visuale, in cui scrittura e iconìa si completano. Come in quella foto, presa, sempre a Tulgit, di una scarpa da tennis, di difficile individuazione, in cui è infilato il braccio di un bambino, ci dice la didascalia, che non la indossa, ma che preferisce giocare con essa. Se non ci fosse la didascalia non si capirebbe molto della foto che potrebbe sembrare “altro”, eppure libera in chi guarda l’interpretazione e la creatività. Foto che guardano chi guarda, dunque, in cui si entra liberamente con la propria fantasia, che lasciano comunque spazio a molte interpretazioni. Foto che a volte sembrano “sporcate”, volutamente confuse e poco comprensibili immediatamente. …………. La ricerca dell’autentico è comunque una molla che spinge il viaggiatore appassionato, anche se l’autentico va restringendosi. Proviamo dunque un po’ di delusione alla notizia che le scene, le foto, le cerimonie sono in un certo senso “artificiali” e create apposta per essere fotografate, dietro esborso di denaro da parte dei viaggiatori. Il che non toglie nulla al valore intrinseco delle singolari foto di Grazia Menna ed al suo lavoro di ricerca. (Paolo Guzzi)
Qui potrete scaricare il comunicato con tutte le info sulla mostra, l'autrice e la mappa della location.
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