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photo4u.it - Libri
Della fotografia senza soggetto (Mario Costa)
Titolo: Della fotografia senza soggetto
Per una teoria dell’oggetto estetico tecnologico


Autore: Mario Costa
Italiano, dimensioni 13x21 cm
Edizioni: Logos, anno 2008
144 pagine, foto a colori;
Costo: € 16,00

Un vero e proprio shock intellettuale quello provocato dalla lettura del saggio di Mario Costa. Una de-strutturazione totale dell’Universo Letterario Fotografia. Non si salva nessuno dei più autorevoli teorici, intellettuali, critici fotografi, semiologi, che hanno accolto la Fotografia come pensiero, da Roland Barthes a McLuhan, dalla Sontag a Bordieu, da Lindekens alla Freund. Non si salvano nemmeno scrittori come Paul Valéry, Fernando Pessoa e Kafka. Il saggio si pone in forte antitesi a quasi tutto il pensiero corrente di una teoria della Fotografia. Si potrebbe arrivare a pensare che il pensiero di Costa voglia violentare cinicamente l’anima della Fotografia, quel principio di Realtà e quella fede sulla sovranità di un referente a cui la Storia ci ha assuefatto. Bisogna sospendere qualsiasi giudizio e porsi in una condizione di apertura affinchè se ne possa intuire le profonde motivazioni. Non fosse altro per i notevoli risvolti morali che l’intera questione assumme specie nei tempi moderni che ci vedono protagonisti. Con un linguaggio forbito, chiaro ed essenziale, l’autore inizia con il porre il lettore di fronte ad una serie di domande. E’ lecito attribuire una riuscita interpretazione fotografica di tragedia come esteticamente godibile e bella? E’giusto sentire commentare alcune fotografie dove vengono rappresentate le miserie delle condizioni umane con parole come “formidabile”, “bellissima”? Costa criminalizza tale scempi intellettuali e cerca di annientare il “Bello” in Fotografia e tutti gli entusiasmi mentali per il Bello di alcune immagini. Denuncia la morale di quegli sciocchi commentatori che non hanno capito che scambiare la realtà della condizione umana resa dalla fotografia per una rappresentazione da valutare esteticamente è quanto mai vergognoso. Allo stesso tempo responsabilizza il fruitore di fotografie a sottrarre il referente, il soggetto delle sue opere fotografiche, per evitare il rischio di una sua percezione estetizzante e per salvaguardare integro il concetto di morale, rispettando le tragedie dell’uomo. In sintesi l’autore invita a praticare una fotografia senza il soggetto. Ecco che si avvia lentamente ma inesorabilmente verso la destrutturazione di buona parte del pensiero che ha accompagnato la Fotografia fino ai giorni nostri; tutte le riflessioni più profonde che sono state dedicate alla fotografia, muovano tutte da quell’equivoco di fondo che è quello di scambiare il senso della fotografia col senso della cosa fotografata. Tutte le considerazioni sul tempo, sulla morte, sull’inconscio, oppure quelle altre sul potere della fotografia di valorizzare, documentare o testimoniare ogni cosa suo malgrado, le restano del tutto estranee e indifferenti. Potrebbe essere utile un Maurice Denis per ricordarsi che una fotografia come un quadro, prima di essere un cavallo di battaglia, una donna nuda o un qualunque altro aneddoto è essenzialmente una superficie bidimensionale piana con le sue specificità. Il referente è il risultato di illusioni umanocentriche, di una giubilatoria preoccupazione realistica, di viaggi al limite dell’immaginazione: una sorta di “succoso pezzo di carne con il quale un ladro cerchi di distrarre il cane da guardia”. Costa ammonisce tutte le infinite suggestioni semantiche per approdare alla dimensione del fotografico puro. Presenta come esempi del suo pensiero, artisti del calibro di Cristina Guerra, Olivier Umhauer, Riwan Tromeur, Bruno di Bello, Angelo Candiano, che hanno tutti in comune la dissoluzione del referente fotografico e la ricerca dello specifico fotografico.

Cristina Guerra, Identidade para quem precisa! (1998)
Cristina Guerra dissolve l’illusione del referente e dell’identità spostando l’attenzione dal referente alle alterazioni che l’immagine fotografica subisce nel tempo, cioè tematizzando della fotografia le sue strutture di base che sono quelle di essere una “cosa”, un “oggetto fotochimico” soggetto alle alterazioni che il semplice tempo provoca in esso.


Riwan Tromeur, Processo fotografico n.1779 (1990)
La fotografia intesa come uno “sguardo del soggetto” rimuove la realtà in sé dell’apparire fotografico: Tromeur elimina allora dalla fotografia ogni preponderanza del soggetto e del suo punto di vista; il fotografico non è la fissazione di uno sguardo del soggetto, ma un modo dell’apparire. Ciò che resta sulla superficie sensibile è il fotografico puro, le vicende dei materiali fotosensibili esposti alla luce, attraversati dal tempo e offerti puri allo sguardo. Questo tempo fotografico non ha niente a che vedere con la nozione ambigua di “tempo della fotografia”; l’unico tempo che la memoria fotografica conosce è quello della sua attivazione fisica, della sua fisiologia foto-chimica: il tempo della ripresa, dello sviluppo e della stampa..


Bruno di Bello, Studio per frammenti, segni (1981)
Bruno di Bello negli anni compresi tra il ’77 e il ’83 produce una serie interessante di lavori generati dall’impressione diretta della carta fotosensibile mediante dei segni creati da una piccola lampada spot in camera oscura (ergofotografia). Qualcosa del genere era già stato sperimentato in passato dai grandi Moholy-Nagy e Man Ray.


Ci si potrebbe lecitamente chiedere se questa neutralizzazione della Fotografia a tutto vantaggio del Fotografico possa determinare un annullamento di senso. Se si rinuncia a fare della “fotografia” uno sguardo aperto sul referente, se si cancella dalla sua superficie sensibile ogni immagine del Mondo, ciò che resta è un puro nulla? Siamo di fronte ad una filosofia della morte? Costa rassicura i lettori che una siffatta messa in parentesi del Mondo Oggettivo non è così allarmante. Ciò che viene meno è soltanto la presenza del soggetto empirico, le emanazioni della persona incarnata nella storia; ciò che invece riesce ad emergere come residuo fenomenologico è il soggetto trascendentale o, meglio, una funzione trascendentale della nostra soggettività che è indubbiamente nostra e che non sa nulla della nostra vita e della nostra morte poiché viene colta in maniera pura, con una coscienza pura. Al dispositivo in atto corrisponde dunque l’essere in atto di una funzione trascendentale del soggetto. Tutto questo non deve essere vissuto come una marginalizzazione o un annullamento del fotografo, un depotenziamento della sua visione e della sua espressione. Infatti l’elemento decisivo per la fotografia resta sempre quello del rapporto del fotografo con la sua tecnica. La grande fotografia e i grandi fotografi coincidano sempre con momenti particolari della evoluzione delle tecniche fotografiche, nei quali essi arrivano a dissolversi. La Storia artistica della fotografia non è altro che la storia dell’auto-disvelamento di un medium nella quale i singoli “Grandi fotografi” rispondono ad una chiamata tecno-logica che invoca, secondo un ordine necessario e del tutto indifferente al “soggetto” che risulterà chiamato, l’epifania dell’essenza del medium. La presenza del fotografo nella fotografia coincide con il suo stile, precisando che per “stile” non bisogna intendere quella immodificabile e specifica qualità spirituale che ogni soggetto imprime nei suoi prodotti, ma quel particolare modo di formare, di dar vita, di creare, mutevole e discontinuo, che consiste nell’attivare e scoprire un aspetto della tecnologia confezionandolo di un idea visiva, rivestendolo di un’intuizione visiva. Costa ci ricorda che la fotografia non è altro che un’ imprevedibile e radicale mutazione nella storia della rappresentazione visiva, ed è su questa mutazione che è necessario fermarsi a riflettere.

    Mario Costa è professore ordinario di Estetica all’Università di Salerno e professore incaricato di estetica della comunicazione all’Università Sophia-Antinopolis di Nizza. I suoi scritti sono tradotti in francese, inglese, spagnolo, croato, danese e porto-brasiliano. Alcuni dei suoi libri, L’estetica dei media (1990-1999), Il sublime tecnologico (1990-1998), Dimenticare l’arte (2005), La disumanizzazione tecnologica (2007), hanno aperto e mantenuto vivo il dibattito sull’estetica di nuovi media e sono considerati dei classici del settore in Italia e all’estero.

Letto per voi da surgeon.

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