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photo4u.it -> Tutorial
Oggetto: La poetica del ritratto Rispondi con citazione
Autore: ZioMauri29 :: Inviato: Mer 29 Apr, 2009 10:45 am
Premessa d’obbligo:
...è quella riguardante queste pagine che
non vogliono essere “guida” o “tutorial”, ma semplicemente “appunti”.
Quelli di un viaggio cominciato nel novembre 2005
qui su Photo4u e che mi ha portato ad entusiasmarmi,
a tratti commuovermi, emozionarmi comunque attraverso quelle immagini, le vostre immagini,
che mi hanno restituito anche frammenti del mio universo.
Da qui la scelta di illustrare queste righe con alcuni ritratti tratti proprio dal sito. Non una selezione, solo una semplice “raccolta” utile a rendere più immediate queste parole, perché per ciascuno di essi almeno altri dieci si rievocano nella memoria con altrettanta forza ed emozione.

(aerre)



La poetica del ritratto

Scrive, il nostro Don nella sua preziosa introduzione alla fotografia street:
Street photography è entrare in sintonia con la vita, percepirla, assorbirne gli umori, gli odori, i colori, viverla intensamente. Poi, dopo averla assorbita e digerita, rappresentarla. Non ho scritto a caso per ultima la parola “rappresentarla”. La street photography rappresenta la vita, “sintetizzata” in alcuni aspetti. E naturalmente, per rappresentare qualcosa, bisogna conoscerla, o almeno essere in sintonia con essa, essere recettivi. Questo elemento è la base di tutto: se non siamo disposti a guardare la vita con partecipazione e attenzione, non saremo mai un buono street photographer.”
C’è qualcosa in queste righe che si adatta al nostro discorso sul ritratto. Perché, esattamente come la foto fatta “per strada” non è detto che sia necessariamente una “fotografia street”, così, la fotografia di una persona, come di un animale, non può dirsi sempre ed in ogni caso un “ritratto”.
Perché si compia infatti quel salto che trasforma un’immagine qualunque in una “fotografia street” è necessario un “racconto”, che è poi il racconto della vita. Allo stesso modo un “ritratto”, perché lo si possa definire tale, deve restituirci una storia.
Deve “raccontare” insomma; solo che il suo cuore narrativo, la storia cioè che la sua veste figurativa imbastisce, è quella dell’individualità del soggetto e di tutto quello che lo fa essere un universo unico e a se stante.
Se non siamo disposti a guardare la vita con partecipazione e attenzione”, non saremo capaci di leggere ed interpretare gli aspetti di quell’universo intimo e personale che la figuratività di ciascuno veicola ed in ultima analisi non saremo mai dei bravi ritrattisti.
Semplicemente perché senza quegli ingredienti fondamentali che sono l’“attenzione” e la “partecipazione”, aspetti di una stessa capacità di guardare con il cuore e non soltanto con gli occhi, non saremo in grado di cogliere il carattere, la personalità, le sfumature in una parola l’ “anima” di chi abbiamo di fronte, e resteremo fermi alla superficie delle cose, senza la capacità di sollevare insomma quella coltre che pure, una volta scoperta, disvela il fascino e la magia di quell’universo sempre diverso e incredibilmente articolato che ciascuno di noi è.
Il “ritratto” celebra proprio questo fascino e questa magia, e non potrà mai esistere se non come espressione di una identità, quella del soggetto fotografato cioè, che non è solo fisica ma anche e soprattutto emozionale.
Ecco perché affrontare un ritratto significa prima di tutto guardare a chi abbiamo di fronte come ad una “persona” ed alla sua integrità indissolubile di spirito e di corpo, stabilendo con questa una connessione, a livello emozionale, che ci consentirà di trarne all’esterno tutta la bellezza interiore.
E questo vale non solo quando il soggetto del ritratto sono persone di famiglia o amici, e che quindi conosciamo bene, se non addirittura noi stessi negli autoritratti, ma anche quando abbiamo a che fare con persone mai conosciute prima.



Nel ritratto di “Maria” di Aldo Feroce (fig. 1) ed in quello di “Gianluca Renzi” di Antonio Manno, nickname: Antonjazz, (fig. 2) le vie percorse dagli autori sono diverse: se nel primo caso il ritratto ci racconta della umanità vera e quotidiana di Maria attraverso una figuratività più oggettiva e “palese”, nel secondo caso l’uso espressivo del mosso porta a scompaginare l’oggettività figurativa in direzione di un accento più emozionale. Resta uguale però l’atteggiamento da parte dei due autori che è quello di raccontarci la persona: “Maria”, nel primo caso, attraverso la spontaneità del suo vestito a pois, l’ampio sorriso, lo sguardo franco e sorridente, la pelle scavata che reca il racconto di una vita intera, e l’”artista Renzi” nel secondo caso con quella trasfigurazione espressionistica operata dal mosso che ci restituisce movimento, concentrazione, pathos, passione, travaglio.
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