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photo4u.it - Libri
L’opera d’arte nell’epoca ..[..].. (Walter Benjamin)
Titolo: L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica

Autore: Walter Benjamin
Pagine: 106 - Testo: italiano.
Edizioni: “Einaudi”
Brossura - Prezzo: 8 €

Immaginate di essere a Parigi, e di stare visitando il museo d’Orsay. Rimanete rapiti dalla bellezza di un quadro impressionista e lo volete fotografare con la vostra compatta digitale di ultima generazione per poterlo rivedere alla fine della vacanza e condividerlo con i vostri amici. Oppure immaginate di essere tornati a casa dal lavoro: vi sedete in sala, accendete il vostro lettore DVD ad alta fedeltà e cercate di rilassarvi con le note magiche del “Lago dei Cigni”. Ecco due semplici esempi per introdurre il fenomeno che Benjamin spiega nel suo famosissimo libro: la «perdita dell'aura» nell'epoca della riproducibilità tecnica dell’opera d'arte, ossia la perdita del «qui e ora» magico e unico che contraddistingue e autentifica una creazione artistica originale come quella di un quadro di Cèzanne o di una sinfonia di Cajkovskij. Siete voi fra quelli che deplorano la meravigliosa opportunità di godere delle riproduzioni non autentiche? Non sembra nemmeno che lo faccia Benjamin o perlomeno il filosofo tedesco rimane con un atteggiamento di ambiguità. Se il godimento dell'aura di un'opera d'arte è tutto sommato una prerogativa aristocratica, ossia un'esperienza estetica privilegiata di un fine pensatore, l'opera d'arte riprodotta è invece nata avendo come destinazione le masse. La contraddizione del testo di Benjamin nasce proprio qui. Poiché egli, nel testo si propone di formulare dei concetti nuovi nel campo della teoria dell'Arte accordabili alle esigenze rivoluzionarie del materialismo storico, non si vede come possa tale finalità accordarsi invece con un processo definito di "decadenza" dell'esperienza estetica, sempre più priva di "aura", con le esigenze comunque sempre più pressanti delle masse di poter aspirare l'estetico. Se il materialismo storico si pone come liberazione politica degli oppressi, un’estetica marxista dovrebbe fornire a costoro anche una liberazione estetica, e applaudire alla perdita dell'aura come forma aristocratica del godimento estetico. Purtroppo, anche l’attenta lettura fra le righe del libro non permette di intuire fino a che punto questa benedetta “perdita dell'aura” sia un fatto negativo o positivo per Benjamin. Mentre la nozione di aura definita da Benjamin è concettualmente cristallina svelando a tratti una tentazione nostalgica, verso un mondo di perfetti esteti, i modi della fruizione dell'opera d'arte riprodotta per le masse raramente trovano un assenso aperto e incondizionato. In nessun passo del libro è asserita a chiare lettere che la perdita dell'aura costituisce un progresso storico. Benjamin non prende una posizione univoca: oscilla sempre tra i due poli: il godimento aristocratico-umanistico, che unico sembrerebbe assicurare il valore culturale dell'opera d'arte e il valore di esposizione o di scambio della riproducibilità tecnica. Egli collega la «perdita dell'aura» nella società contemporanea all’avvento delle masse sulla scena e alla loro richiesta di merce culturale. La riproduzione dell'opera d'arte in «sede impropria» come potrebbe essere il salotto di casa nostra, non ne comporta una perdita di qualità generale, ma semplicemente una de-sacralizzazione, stimolando la nascita di un'esperienza laica della cultura e sostituendo il valore rituale con un valore di tipo espositivo e dalle caratteristiche anti-estetizzanti. Ma senza usare parole troppo complesse torniamo a quell’istantanea del quadro impressionista che avete scattato di nascosto nel museo D’Orsay: in questa immagine digitale che state per far vedere ai vostri amici di casa viene a mancare un elemento fondamentale: “l’hic et nunc dell’opera d’arte, la sua esistenza unica e irripetibile nel luogo in cui si trovava”. Nell’unicità della collocazione spazio-temporale dell’opera risiede il fondamento della sua autenticità e della sua autorità come “originale”, ossia la sua capacità di assumere il ruolo di testimonianza storica. La trasmissione di un’eredità culturale poggia infatti sul permanere nel tempo dell’unicità e dell’autorità delle opere e sulla loro conservazione e celebrazione in spazi dedicati, come appunto i musei, o nelle chiese, nei posti cioè in cui esse radicano la loro unicità.

Walter Benjamin, Alinari..

Benjamin riassume i valori di unicità, autenticità e autorità dell’opera d’arte nella nozione di “aura”. Il “declino” dell’aura determinato dall’avvento dei mezzi di riproduzione tecnica delle opere, sarebbe il sintomo, secondo Benjamin, di una più generale mutazione “nei modi e nei generi della percezione sensoriale”: a ogni periodo storico corrispondono infatti determinate forme artistiche ed espressive correlate a determinate modalità percettive. Appare del tutto naturale che la storia dell’Arte vada parallela ad una storia dello sguardo. Benjamin si rende conto come nella società a lui contemporanea, mediante la diffusione dell’informazione e delle immagini, tenda ad affermarsi sempre più un’esigenza di avvicinamento, alle cose e alle opere. Ciò che però viene meno, in un’epoca caratterizzata dal bisogno di “rendere le cose, spazialmente e umanamente, più vicine” e in cui “ si fa valere in modo sempre più incontestabile l’esigenza di impossessarsi dell’oggetto da una distanza il più possibile ravvicinata nell’immagine, o meglio nell’effigie, nella riproduzione”, è quel peculiare intreccio di vicinanza e lontananza nel quale risiede, secondo Benjamin, l’essenza dell’aura. Originariamente, le opere d’arte erano parte inscindibile di un contesto rituale, prima magico e poi religioso; la loro autorità e autenticità, la loro aura, era determinata proprio da questa appartenenza al mondo del culto. Con la nascita della Fotografia nel 1839, la riproducibilità tecnica dell’opera d’arte consente un numero indefinito di riproduzioni tutte uguali. Questo provoca una trasformazione del rapporto con l’opera d’arte in questione: se questa era prima conoscibile solo da una fascia limitata di società, adesso un pubblico più vasto e differente può averne accesso in maniera veloce. L’arte diventa più visibile, accessibile, le masse possono aumentare il loro sapere e la propria cultura. Si è così davanti al mutamento dal valore cultuale dell’opera d’arte limitata a quello empirico-espositivo che ha una visibilità e una diffusione maggiore. La conseguenza di tutto ciò è il dissolversi dell’aura: le opere perdono quel fascino sacro e mistico, di culto della bellezza del capolavoro artistico, di contemplazione muta. L’atteggiamento nei confronti dell’opera d’arte è più distaccato, disincantato e non più ipnotico. Non c’è più l’atteggiamento di devozione nei confronti dell’oggetto artistico, la cui fruizione necessita di una distanza critica, di un’autonomia di giudizio e di un mantenimento della propria individualità. La portata “rivoluzionaria” che Benjamin attribuisce alla Fotografia come tecnica della riproduzione e, in maggior misura, al Cinema, si esplica dunque su diversi piani: dissoluzione dell’aura attraverso riproduzioni che sottraggono l’opera d’arte all’hit et nunc della sua esistenza materiale e della sua fruizione, rivelazione di una visibilità che rimane inaccessibile all’occhio empirico e diventa invece accessibile grazie alla mediazione del dispositivo (inconscio ottico), contestazione di ogni atteggiamento cultuale, tipicamente borghese, nei confronti dell’autenticità e dell’autorità dell’opera. Riguardo a quest’ultimo punto, Benjamin spiega come il cinema, a differenza della pittura, non consenta un atteggiamento puramente contemplativo, fatto di esaltazione e rapimento. Quella del cinema non è una fruizione fatta di raccoglimento ma una fruizione “distratta” in cui lo spettatore non si perde nell’opera, ci si identifica, mantenendosi in un atteggiamento nel quale piacere e giudizio critico coesistono senza limitarsi a vicenda. Il cinema, in altre parole, si allontana dal naturalismo e dall’illusionismo teatrale e consente di conservare la “distanza” e lo “straniamento” che erano al centro, negli stessi anni, della riflessione sul teatro di Brecht. Così il cinema sarebbe diventato lo strumento privilegiato della diffusione della cultura politica democratica tra le masse, Le osservazioni di Benjamin sulle peculiarità della tecnica cinematografica sono illuminanti e vertono sostanzialmente su due aspetti che contribuirebbero a mutare la risposta percettiva dello spettatore nei confronti dell’opera: si tratta naturalmente dell’ illusione di realtà generata attraverso il movimento della pellicola cinematografica e la particolare conoscenza empatica che la capacità di indagine della macchina da presa consente attraverso tutti gli artifici tecnici propri del mezzo, i quali permettono allo spettatore di immedesimarsi nella realtà stessa della immagine filmata. Benjamin osserva che tutto ciò produce un interscambio tra il film, l’opera d’arte, e lo spettatore, di un genere che mai prima era avvenuto nella storia della percezione e della società. Mediante la tecnica cinematografica l’arte perde tutta la sua sacralità, la sua solennità, filtrata attraverso il realismo del film, si ravvicina allo spettatore e diviene materialità, un fenomeno genuinamente democratico.

Walter Benjamin in the Bibliothque National, Paris, 1939 di Gisle Freund..

Benjamin sostiene nella sua opera che la nascita della Fotografia ha modificato in modo radicale il processo della creazione artistica. Ma su questo molti critici non sono d’accordo. Esistono infatti, nella storia delle immagini, numerosi esempi in cui la concezione dello spazio che in seguito sarà caratteristica della Fotografia viene anticipata con opere in cui il cosiddetto “taglio fotografico” si palesa evidente ben prima della nascita del medium stesso. Tutto ciò lo si può rintracciare per esempio nei dipinti dei vedutisti del settecento come quelli di Giovanni Antonio Canal, Francesco Guardi, Bernardo Bellotto, oppure nelle scene di vita quotidiana o di paesaggio delle stampe giapponesi ukiyo-e, riprese con taglio fotografico, di Utamaro o di Hokusai (la cui conoscenza influirà sull’arte moderna ben più della fotografia, basti pensare a tutti quegli artisti europei che saranno influenzati dall'arte giapponese: Van Gogh, Monet, Manet, Degas, Renoir, Pissarro, Klimt, e molti altri). Una riflessione analoga va fatta per il rapporto tra l’opera d’arte e la serialità della riproduzione. Vi è in effetti già ampia manifestazione di serialità nelle opere dell’arte del passato e tuttavia, non per questo, tali opere manifestano la perdita della loro “aura” originaria. Lo si può affermare a proposito di molta parte delle realizzazioni dell’arte orientale, nell’eterno e ordinato ritorno dei motivi che, tra logica matematica inflessibile e continuità ritmico-organica, dimora nel cuore dell’ornamento islamico. Oppure ritroviamo la serialità nei rilievi architettonici dei templi Atzechi o Maya o nelle fasce decorative nei grandi cicli di affreschi di Giotto. Dunque né “ l’aura” né il principio della serialità distinguono in sé per sé l’attività artistica tradizionale da quella dell’era tecnologica avanzata, sono semmai proprio le potenzialità nuove di questa tecnologia che appaiono a Benjamin essere dotate di una qualche forza speciale. La Fotografia, il Cinema e gli altri media hanno trasformato la percezione sensibile dell’uomo moderno , sottoponendolo ad un autentico «training del sensorio» che gli consente di affrontare il passaggio dalla cultura ottocentesca, permeata dal culto dell'aura, a una modernità che lo espone a continui shock. Il Benjamin che emerge da queste letture riesce a dialogare con i principali protagonisti delle avanguardie e delle teorie della fotografia e del cinema del suo tempo, proponendosi come fondamentale termine di confronto per gli studi contemporanei sui media. Alcune riflessioni contenute nel libro possono apparire oggi datate. Tuttavia, se si guarda allo sviluppo dell'attività artistica dal secondo dopoguerra, ci si rende conto di come i concetti fondamentali del suo pensiero siano tuttora validi. Innanzitutto il nesso tra arte e tecnologie di comunicazione di massa è divenuto l'asse centrale di gran parte della sperimentazione artistica. Inoltre, il concetto di opera d'arte, si è ulteriormente de-sacralizzato, integrando al suo interno una serie di attività e fenomeni comunicativi sempre più vasta, e di conseguenze rendendo sempre più labili i confini tra arte "colta" e cultura della comunicazione di massa (da intendere come comunicazione che si rivolge ad un pubblico di massa sia come comunicazione che proviene da un numero sempre più grande di persone). Infine, ogni nuovo strumento tecnico di produzione e riproduzione è stato integrato nell'ambito dell'attività artistica, portando con sé nuova potenzialità espressiva e nuovi modi di percepire e rappresentare, così come la fotografia ed il cinema avevano fatto a suo tempo.

Letto per voi da surgeon

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